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Cronache della colecisti, episodio 10: aria, aria di casa mia

Quel che segue è l'attesa, mista alla necessità di sapere quel che succede fuori dall'ospedale. Ché, qui, i letti si svuotano uno dopo l'altro, e le notti divengono molto silenziose: non c'è più il viavai di visitatori che, in barba a qualunque regola, si affollano a tre o quattro per paziente (e qui si capisce l'etimologia del termine stesso, ché per sopportare così tante visite a volte di pazienza ce ne vuole assai); ma non ci sono neppure pazienti che strepitano (beh, a parte uno, Ezio, che dev'essere sordo come una campana e tra gli urli suoi e quelli delle infermiere per farsi capire ormai sappiamo tutti quanti per filo e per segno dove e quanto dolore ha... 7), e anche il numero di infermieri sembra essersi ridotto.

Nella nostra stanza, le uniche conversazioni avvengono tra Amilzare e me, ché l'Aviatore è sempre a dormire o ad ascoltare musica con le cuffiette, e s'illumina solo quando gli chiedi degli aerei, e Shallow... beh, Shallow è così ignorante che, dopo avergli fatto una domanda, non sai se sparare a te o a lui, e speri che dall'iperspazio si materializzi un volume dell'enciclopedia Treccani e gli cada in testa, tramortendolo; dice che sta per laurearsi, o almeno che stava (ché, in tempi imperfetti, tocca parlare con l'imperfetto), e diosolosaincosa (non chiedo, non voglio rischiare), e Amilzare scuote la testa dicendo che "questi sono quelli che ci governeranno quando saremo vecchi"... beh, non è che siamo messi tanto meglio, al momento. Lui, invece, a parte l'ipocondria e la scorbuticità, di cui la prima acuita in tempi di virus e la seconda invece sedata dall'assenza di visite, si rivela persona colta ed intelligente, quindi come dicevo un po' di chiacchierate si fanno, ma senza scendere troppo in profondità, che poi ognuno c'ha da pensare ai suoi doloretti privati.

I miei permangono, sempre a causa dell'anidride carbonica che circola per il mio corpo. Dopo la prima notte in cui avevo dormito a metà, la seconda mi sembra di passarla quasi tutto da sveglio, non riesco a trovare una posizione in cui strani rumori non arrivino dai meandri del mio apparato digerente, o in cui il mio addome forato e leso riesca a riposare tranquillo. Di mettersi su un fianco non ne parliamo: il dolore alla spalla ritorna immediatamente e morde come un mastino.

Venerdì faccio vari tentativi di camminare, anche per rimettere in moto la digestione, ma se resisto quattro o cinque minuti è molto, poi devo riassumere una posizione orizzontale. Leggo, quindi (terzo libro in un mese, questa volta sulla fantascienza), e lavoro molto al computer: ho un paio di progetti per gli esperantisti, iniziati ed a buon punto ma non terminati (meglio detto: praticamente terminati, ma siccome non sono mai contento di come faccio le cose ho già una lunga lista di aggiunte e miglioramenti da apportare), così mi porto avanti come posso, ricordandomi ogni mezz'oretta di stendermi completamente per far riposare la spalla destra.

Venerdì notte dormo un po' di più, anche se so esattamente quante zanzare ci sono sul soffitto della stanza: loro ci osservano, ma anch'io osservo loro.

Al sabato, durante il giro medico del mattino, mi dicono che le cose vanno bene, che il dolore è normale e da sopportare e che potrebbero già dimettermi l'indomani. Io verifico a casa com'è la situazione, poi faccio presente che logisticamente sarebbe difficile per me lasciare l'ospedale questa domenica non avendo familiari che possano venire a prendermi (Chiara sarà al lavoro, e la mamma è meglio che non esca dalle - fino ad ora - sicura mura domestiche); "nessun problema", mi dice la dottoressa: "possiamo tenerla dentro fino a lunedì". "Tra l'altro", faccio presente, "sto ancora a dieta liquida (ovvero: the), non so se vi serve darmi qualcosa di solido per vedere se la digestione funziona bene (eufemismo: i medici ti chiedono sempre "ha scaricato?" e, credetemi, non si riferiscono alla tua partita IVA)". "Giusto", dice, e mi fa mettere a dieta semi-liquida: minestrina e mousse di frutta. Siamo alla (mousse di) frutta!

Sabato notte più tranquillo, mi sveglio ogni tanto ma diciamo che va meglio; così come le analisi del sangue che mi fanno: è tutto a posto. Passa un altro medico, rispiego la situazione logistica, mi dice che non c'è problema, io avviso a casa e poi, 20 minuti dopo, appare in corsia, annunciato da cori d'angeli e cherubini, il primario, che indossa un camice con su scritto "Direttore" e la mascherina se l'è dimenticata a casa (ma tanto, cosa vuoi che gli succeda?! Lui è il Primario, con la P maiuscola); guarda le cartelle cliniche, poi intercetta Amilzare e me mentre passeggiamo per il corridoio e, dopo averci raccomandato di non camminare troppo vicini (sic! "Tu ci dici queste cose, Primario? Tu che ti presenti senza mascherina e stai a meno di un metro da me? Noi sono giorni che stiamo in camera assieme e ci alitiamo addosso con cortesia, ma a te chi t'ha mai visto prima?", pensiamo entrambi), ci informa che, "per la nostra salute", è meglio se ce ne andiamo oggi stesso. Io faccio il tentativo di rispiegare il problema logistico, ma lui è irremovibile, sempre "per la nostra salute". Tradotto: qui dobbiamo liberare quanti più letti possibile, voi siete capaci di deambulare e, quindi, deambulate!

Lancio un S.O.S. via WhatsApp ai miei migliori amici, per vedere se qualcuno è disponibile a venirmi a prendere e portare a casa; si offrono in molti (quel che non farebbero degli essere umani, persino il brivido di essere fermati da una pattuglia, pur di sfuggire al confinamento...), per fortuna; vince Andrea in quanto abita più vicino, sua moglie l'ha offerto volontario mentre ancora stava dormendo quindi scopre tutto a cose fatte e ormai non può più rifiutarsi (non so se sia andata davvero così, ormai ricamo a piene mani meglio di una sartina), ma... c'è un ma: bisogna aspettare la lettera di dimissioni. E la lettera di dimissioni la scrive il dottore, dottore che non è ancora passato a fare la visita di controllo, e che non si sa dove sia finito (intanto, il Primario si è ovviamente già dileguato). Così faccio a tempo a fare la doccia, la borsa, leggere, scrivere, fare di conto, ascoltare altre domande di Amilzare a Shallow e le di lui risposte assurde, finché il medico passa verso le 11:15 e mi dice che se voglio potrei rimanere e io gli dico che no, mister P "ci ha sbattuti fuori questa mattina" e lui abbozza, e così fa l'infermiera, ché se hai la P maiuscola fai il bello ed il cattivo tempo.

La lettera di dimissione arriva dopo pranzo, avverto Andrea e per le due del pomeriggio mi aspetta nel parcheggio dell'ospedale. Com'è strano viaggiare con l'autista (lui davanti, io dietro, sfalsati) per le strade deserte, una città vuota di domenica quando il sole inviterebbe invece a fare una passeggiata al parco. Com'è strano non stringere neppure la mano del tuo amico, ché è vero che tu sei probabilmente uno degli essere umani più sani che ci sono in giro al momento ma lui comunque è uscito di casa ed è venuto a prenderti in ospedale e ora ti porta fino a casa tua e poi se ne torna indietro, un bello sbattimento. Parliamo di quel che vediamo, di come va la vita fuori, del fatto che sarebbe bello vedersi per una serata ma magari anche no proprio ora, ché non sai mai da dove arriverà il coronavirus. Mi lascia al cancello, poi torna a casa, neanche il tempo di un caffé; lo ringrazio, poi mi guardo intorno, e sono a casa.


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inserita il 16/03/2020
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