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Cronache della colecisti, episodio 9: operazione a tutto gas

Giunge l'ora. Con la pancia glabra e liscia come il culetto di un androide, le calze sexy bianche contro la trombosi e la camiciuola legata alla bell'e meglio dietro la schiena (mi sa che sono taglia unica, la mia è un po' corta, per fortuna ci sono le calze sexy a coprir la coscia), salgo sulla lettiga con la quale due infermiere mi portano per corridoi vuoti d'ogni essere umano, fino alla zona delle sale operatorie. Qui, un caos ordinato sta andando in onda: le stanze d'attesa sono piene di strumenti, un infermiere quasi scusandosi mi spiega che in tutto l'ospedale stanno facendo più posto possibile per attrezzare sale di rianimazione in caso di un picco del coronavirus. Ammiro (e glielo dico) la pazienza e professionalità con cui tutti stanno lavorando, non deve essere affatto facile con lo stress a cui sono sottoposti; mi chiede che lavoro faccia io, glielo dico, risponde "ah, allora capisce bene come ci si deve comportare con la gente". "Mah, ci provo", rispondo.

Mi rifà per l'ennesima volte le stesse domande: "chi sei?", "per cosa sei qui?", "hai allergie?"... tutte domande già sentite e risposte, ma meglio sempre una verifica in più che un organo in meno. Poi, attendo: c'è ancora qualcuno in sala, gli interventi si affastellano, stan cercando di far tutto quello che possono per liberarsi il più possibile. Ascolto infermieri parlare della riassegnazione dei turni: qualcuno verrà mandato a casa ma tenuto a disposizione, pronto ad intervenire se ve ne fosse la necessità; tutti sembrano prenderla bene, forse sono contenti di poter tirare il fiato per un po'.

Arriva il mio turno, spingono la lettiga all'interno e si palesa l'anestesista, spiegandomi che prima mi daranno un blando sedativo e poi mi addormenteranno, e di pensare a qualcosa di positivo; nel frattempo, mi legano braccia e gambe con lacci al velcro, e i pensieri positivi si fanno un po' meno positivi. "È per il caso che mi svegli prima del termine dell'operazione?", chiedo, ma non ottengo una risposta certa. Provo allora a suggerire che, se possibile, riutilizzino gli stessi buchi dell'appendicectomia di anni fa, ma anche in questo caso non ottengo assicurazioni. L'orologio analogico indica le quattro e cinque, sento la voce dell'anestesista che dice "scarica tutto", poi... poi non ricordo più niente, finché non mi risveglio mentre mi riportano di sopra. Sbircio un orologio, sono le sette e mezza, in realtà però non so se l'operazione è durata così tanto o se ci è voluto tempo per risvegliarmi. Provo a fare un respiro profondo, sento un po' di dolore ma è sopportabile; mi accorgo che mi hanno innestato un catetere, ovvero un tubo che mi entra nel pisello per estrarne l'urina senza che io mi debba alzare, e sono lieto che l'abbiano fatto mentre ero ancora anestetizzato; ho, poi, un altro tubo che mi esce dall'addome, un drenaggio per raccogliere sangue (immagino... rosso è rosso...). A letto sollevo la camiciuola, ci son quattro cerotti, mi sa che almeno tre sono in posizioni nuove; se continua così, 3 buchi nuovi ogni volta che mi tolgono un pezzo, a 100 anni ci arrivo che sono un colabrodo.

Dormicchio, svegliato solo ogni tanto dalle infermiere che passano a cambiare i sacchetti di liquidi che mi stanno sparando in vena, ma verso le 4 del mattino non riesco più a tenere gli occhi chiusi, neppure con la mascherina sopra, quindi mi metto a leggere quel che succede nel mondo (internet ci salva, qui dentro), non potendo accendere la luce per continuare il mio nuovo libro. C'è silenzio, in reparto: non si sente neppure più il vecchietto che ieri sera sbraitava non si sa per cosa; ed i miei compagni di stanza, tutti addormentati (c'è pure un nuovo ragazzino, detto l'Aviatore per la sua voglia di entrare nell'Aeronautica, che occupa il quarto letto, quello che fu di Immobile), hanno il sonno tranquillo e leggero dei giusti. Fuori, lentamente, albeggia, ma la luce che si riflette dalla parete opposta dell'ospedale non è poi così forte.

Al risveglio mi trovo un bicchierino con ben due calcoli (altro che uno solo!) dentro, il più piccolo è rossastro e grande come un lampone, il più grande nero e grande come un'oliva... e ghe credo che mi facevano male! Peccato solo che, come dice Max, mi abbiano tolto l'organo produttivo, se no potevo mettere su un commercio!

La colazione la porta Thomas; a me, un bel bicchiere di the, senza biscotti ma chissene, già il fatto di poter sentire qualcosa in bocca di saporito non è male. Mi incoraggiano ad alzarmi e lavarmi da solo, in bagno, e posso farlo senza giramenti di testa, cosa ottima, se non fosse per un maledetto dolore alla spalla destra; quando torno al letto, prendo il computer e scopro che è un problema comune: l'anidride carbonica che viene insufflata nell'addome per tenderlo e facilitare l'introduzione degli strumenti chirurgici solitamente distende il diaframma e, da lì, infiamma le terminazioni sensitive del nervo frenico che si irradia proprio alla spalla. Sapere è potere, dicono, ma nel mio caso specifico non diminuisce il dolore, che però scopro sparire quando mi stendo; passo quindi tutta la mattina a leggere, tenendo su solo la testa, finché non vengono a estrarmi il catetere ("si tenga la pancia e dia un bel colpo di tosse", dice l'infermiera, mentre estrae il tubetto; credo che il colpo di tosse serva solo per distrarmi, ma funziona) e, poi, a scacciarci dalla nostra camera: le stanno pulendo a fondo tutte, una ad una, ed è arrivato il momento della numero 2. Chiedo se mi prestano una carriola, ché non posso proprio portar pesi con la spalla nelle succitate condizioni, ma non essendocene al momento in reparto mi danno una mano gli inservienti, inteneriti dalla mia condizione di recente operato (i miei compagni di stanza mi lanciano sguardi taglienti come lame, mentre provvedono a spostarsi la loro roba); il trasloco avviene in pochi minuti, e l'unica differenza nella nuova stanza è che il bagno ora è a sinistra, basta farci attenzione di notte per non rischiare di andare a mingere (ah, le parole arcaicamente desuete!) nello sgabuzzino.

Ascolto per un po' le vette pindariche a cui arriva l'ignoranza di Shallow, con Amilzare che lo stuzzica con domande del tipo "Giuseppi Conte è 1)Re d'Italia, 2)Assessore regionale, 3)Presidente del consiglio o 4)Primo ministro?" (la risposta di Shallow: "Presidente del Consiglio delle Camere"... dov'è l'emoji che si da una manata in faccia, quando serve?!), poi invece approfondisco la conoscenza dello stesso Amilzare, che si rivela anche interessante quando non parla di medicina: lavora anche lui nel turismo, anche se si occupa di alberghi, quindi abbiamo pure qualcosa in comune (ovviamente il discorso arriva presto ai clienti difficili o da evitare, e scopriamo di concordare molto... ciò mi perplime, e un po' preoccupa pure).

Il lauto pranzo sperato si riduce ad un altro bicchiere di the, allora esagero e ci metto ben due bustine di zucchero invece di una, ché almeno mi addolcisco la vita.

Nel pomeriggio, dopo aver guardato il nuovo episodio di Picard ed aver letto un po', vado a passeggiare, almeno finché la mia spalla non se ne accorge e mi dice "uè, che sta facendo?!". Torno al mio posto, senza discutere.

Passa un dottore mai visto prima, che si qualifica come colui che mi ha operato ieri e mi dice che la mia cistifellea gli ha proprio dato da fare: le pareti erano molto ispessite, e la stessa cistifellea era leggermente girata ("non sono stato io, dottore, glielo giuro"). Mi chiede se ho dolore, e gli pare impossibile che non l'abbia avuto nei giorni scorsi; io gli accenno alla spalla, lui dice che la spalla è il minimo che mi potesse toccare. Sorride, e se ne va, senza aggiunger motto alcuno. 


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inserita il 13/03/2020
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