Da che ho approfondito il testo della canzone di Gotye, mi è capitato di pensare ad un sacco di persone (conoscenti, amici, amanti) che, per una ragione o per l’altra, sono talmente cambiati o, addirittura, spariti dalla mia vita che - purtroppo - sono ormai solo "qualcuno che conoscevo"...

Quanti sono, quelli che ci lasciamo indietro?

Molti, suppongo; io penso anche troppi, a volte. Basta poco, in realtà: un paio di telefonate non fatte (o non risposte), un’e-mail o una lettera di carta (ma chi riceve ancora lettere di carta, se non dalla banca o dall’ufficio delle imposte?!) lasciata in un angolo "che, tanto, prima o poi rispondo" e invece si ricopre di polvere e te la dimentichi... basta un po’ di ignavia, cullati dalla fiducia che i social network ci salveranno ("ma lo sai che con Facebook ho rintracciato 3 miei compagni di classe dell’asilo?!"... "ah sì? e perché per tutti questi anni non te ne è fregato niente, e non hai fatto niente per cercarli?"), ed ecco che un viso, un corpo, un’anima, una persona scompaiono tra le pieghe del tempo, e se un giorno te li ritrovi davanti ti appaiono come dei perfetti estranei...

E’ un processo naturale, probabilmente. Come il necessario staccarsi delle foglie dai rami degli alberi, in autunno, perché la pianta possa sopravvivere ai rigori dell’inverno. Ma non è detto che sia piacevole, e le urla disperate di Gotye e Kimbra, ed il loro triste confondersi con lo sfondo, lo testimoniano.