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Chi semina vento...

Sabato scorso ho deciso di partecipare anch’io alla marcia contro la trasformazione dell’aeroporto civile di Vicenza in una estensione della base americana Ederle. Una marcia pacifica, fatta nel Giorno dell’Indipendenza americano, per ribadire il desiderio di molti cittadini di Vicenza di affrancarsi dalla dipendenza dalle installazioni militari americane.

L’inizio è stato simpatico, chiassoso, caciarone: arrivati a Rettorgole, in via Madre Teresa di Calcutta, io ed L. abbiamo parcheggiato la macchina e ci siamo avviati assieme a tantissime altre persone al punto di ritrovo; lungo la strada, ai nostri fianchi, gruppetti di amici che si incontravano, palloncini colorati appesi ai rami degli alberi, venditori di magliette con mille scritte, persone che distribuivano bottigliette d’acqua e volantini con varie informazioni.

Dal camioncino degli organizzatori, venivano continui inviti ai vicentini a portarsi nelle prime file, dietro lo striscione, per dimostrare a tutti (ed alle forze dell’ordine che, si diceva, erano già schierate lungo il tragitto previsto contrariamente a quanto stabilito in accordi precedenti con gli organizzatori) che la manifestazione era soprattutto di vicentini per difendere l’integrità del loro territorio; donne, molte donne, le donne del No Dal Molin, sostenevano il lungo nastro su cui immagini della Basilica Palladiana si fondevano con gli slogan del presidio. Tutto tranquillo, tutto pronto...

O forse no: staccatomi da L., rimasta a parlare con un’amica incontrata, sono arrivato alla testa del corteo e l’ho superata, per fare delle fotografie; ma, mentre le persone si mettevano in marcia, ho notato quasi subito varie persone, quasi tutte abbastanza giovani, che con fazzoletto al collo e casco sotto braccio si aggiravano circospette tra la folla; uno, in particolare, mi aveva colpito perché reggeva con la mano libera un cestino, tipo quelli da picnic, nel quale si intravedeva una bottiglia coperta da un panno... strano, ho pensato, uno che va col cestino da picnic ad una marcia... Dal camion, nel frattempo, venivano spiegati i continui stop lungo il percorso con il tentativo di ricompattarsi, mentre si lanciavano invettive contro le forze dell’ordine ree di "aver rotto gli impegni presi". "Situazione di guerra", "Genova", "Afghanistan" erano parole che risuonavano da quell’altoparlante, al quale si alternavano vari speaker.

Mi avvicino ad uno di loro, che ha appena terminato di parlare, lasciando il posto a Cinzia Bottene, e gli faccio notare la presenza di quelle persone con i caschi. "Eh, i caschi ci servono per difenderci, per non prendere le bastonate", mi risponde. Curioso: pensavo che per non prendere le bastonate bastasse non mettersi nella situazione di prenderle. Ancora più curioso: questa persona, che sta convalidando la presenza di questi personaggi quanto meno inquietanti, è uno di quelli che hanno organizzato la manifestazione; ha la sua bella maglietta del presidio, quelle di Obama con la cesoia, e parla con gli altri organizzatori tranquillamente. Ma lo sanno già, allora, in cosa stanno infilando tutte le persone venute a marciare pacificamente?

Si arriva al presidio. Qualche sfottò, lungo la strada, in un punto da cui si vedono camionette dei carabinieri lungo il reticolato dell’aeroporto; qualcuno lascia la canna dell’acqua, aperta, fuori dalla recinzione del suo giardino, per offrire refrigerio ai manifestanti; un bambino passa in monopattino, la bandiera della pace bene in vista. Il corteo si ferma, io vado verso il Ponte del Marchese dove si intravedono i militari. Schieramento di forze dell’ordine, effettivamente molto vicine o addirittura lungo la strada, in assetto antisommossa: caschi, maschere antigas, scudi di plastica, manganelli; i camion hanno i rostri, davanti, suppongo per divellere eventuali blocchi stradali. Si notano anche degli agenti in borghese (poliziotti? DIGOS?), che penseresti debbano fare di tutto per non farsi riconoscere ma che invece sono più evidenti di un gruppo di testimoni di Genova. Ridacchiano... boh, magari lo fanno per stemperare la tensione... ma se invece sapessero qualcosa che noi non sappiamo?

Fotografi e cineoperatori si mettono dietro i guardrail protettivi del ponte, mentre nel fiumiciattolo un natante dei vigili del fuoco è pronto in caso qualcuno cadesse in acqua.

Avanza lo striscione. Le donne, le mamme del No Dal Molin non ci sono più, però; al loro posto, ci sono ora solo persone con caschi in testa e fazzoletti sulla faccia, saranno un centinaio ad occhio e croce; il resto del corteo è rimasto indietro, al presidio.

Lo striscione mi sembra più rigido di prima, noto che è fissato su dei rettangoli di materiale trasparente, forse plexiglas. Era così anche prima? Ne dubito, mi sembrava molto più morbido, ma non ne sono sicuro.

Coloro che lo portano ora passano sul ponte; poi, arrivati all’altezza dei carabinieri del Tuscania, sulla loro destra, svoltano lentamente verso di loro, mettendocisi faccia a faccia. Qualche attimo di tensione, poi dai manifestanti partono i getti di alcuni fumogeni azzurri: è il segnale per l’inizio della battaglia. Da un lato lanci di fumogeni, pietre, qualcosa di esplosivo (dicono bombe carta, forse anche petardi, non me ne intendo quindi non mi sbilancio. Dalla parte opposta, manganelli, soprattutto sullo striscione, forse per farlo cadere; qualche milite riesce a colpire qualche casco, ma non mi pare ci mettano troppa cattiveria. Insulti, spintoni, poi partono i lacrimogeni, mentre lo striscione e chi lo sostiene viene respinto lentamente indietro, sul ponte. Il denso ed acre gas colpisce anche noi, molti operatori sono organizzati di loro con caschetti e maschere, io no e quindi continuo a fotografare e filmare finché gli occhi mi reggono, poi mi allontano. Nel frattempo, il ponte è libero, i carabinieri si sono assestati dalla parte opposta a dove erano prima, da dietro arriva un gruppo di poliziotti. Fa caldo, c’è un buon venticello ma fa caldo, i gas si disperdono ma ci vorrebbe del limone, del bicarbonato per risciacquarsi; ho solo acqua, faccio con quella. Le divise dei carabinieri sono ricoperte di una polvere biancastra, suppongo siano i resti dei fumogeni. Alcuni bambù prendono fuoco, qualcuno richiama l’attenzione della barca dei pompieri che però hanno già contattato i loro colleghi con le autopompe che arrivano poco dopo.

Alcuni manifestanti, schierati lungo l’argine opposto, mostrano i loro fondoschiena ai militi, che li ignorano bellamente; le forze dell’ordine si riassettano, c’è chi si fa pulire lo scudo dai pompieri con la manichetta, chi porta bottigliette d’acqua gassata che poi tappezzeranno il terreno degli scontri, chi da e riceve ordini alla radio. I tizi in borghese di cui sopra continuano a ridacchiare, si son tenuti in disparte... che c’avranno da ridere, ancora? Non si rendono conto che cose come questa sono una sconfitta ancor più per loro, che dovrebbero mantenere l’ordine ed invece si fanno trascinare in schermaglie e scaramucce da dei delinquenti?

La sottile arte della diplomazia ha la meglio, infine; allontanati i facinorosi, e messe alcune persone del presidio a fare da catena umana divisoria tra le forze dell’ordine ed i manifestanti, dopo ore il corteo riprende il suo andare. Molti con cui parlo sono sconcertati da quanto accaduto, tutte le manifestazioni precedenti sono state tranquille e pacifiche ed anche questa, per quanto li concerne; non capiscono perché si sia lasciato andare avanti quel gruppo di teppisti, e onestamente non lo capisco neppure io. L’hanno fatto certamente con l’avallo degli organizzatori, o quanto meno di parte di essi (chi avrebbe se no fatto indietreggiare le donne che avevano portato lo striscione fino a quel momento?). Sarebbe stato più semplice formare da subito il cordone umano divisorio, e impedire così anche quella stupida scaramuccia che - di fatto - ha fatto le sue vittime nel morale dei manifestanti. Provocazione? Forse. Ma Gandhi e Martin Luther King avevano ben altre risposte alle provocazioni.

Passiamo a fianco dell’aeroporto. Qualche altro idiota, come il ciccione nero di questa foto, con il suo bel fazzolettone al collo, lancia insulti alle forze dell’ordine, nascondendosi nella folla. Lo invitiamo ad andare a dirglielo in faccia, invece di fare il coraggiosone tra di noi; come risposta, comincia ad insultare anche noi... proprio bella gente!

Il corteo prosegue. Io, L. e la sua amica ci stanchiamo, e ci stacchiamo: superiamo tutti, e attraversiamo viali svuotati se non di poliziotti e curiosi dietro le transenne, che ci chiedono se veniamo dalla manifestazione e quali sono le novità, cosa è successo, quanto distano gli altri. Viale Dal Verme sembra post guerra nucleare, soffia solo il vento tra le case, un temporale è in arrivo. All’altezza di viale Ferrarin, incontro il mio ex-professore di italiano, animatore della Casa per la Pace. Mi chiede anche lui notizie, poi mi racconta che loro non se la sono sentita di aderire a questa manifestazione, perché si era capito da tempo che non sarebbe stata improntata alla non-violenza come le altre.

La polizia è schierata all’inizio di viale Diaz, ma parlando con il responsabile (lunga, trovarlo: la risposta tipica del poliziotto schierato è "chi è il responsabile? e perché cazzo lo vuoi sapere?"... signor Prefetto, forse sarebbe ora di insegnare l’educazione anche ai suoi uomini, quelli pagati con le nostre tasse... sa, così, tanto per fare qualcosa di utile) riusciamo a far loro capire che dobbiamo raggiungere l’Albera e che non era previsto che il viale fosse chiuso ai pedoni. "Eh, ma sta arrivando la manifestazione!"... "scusi, ma avrà ben visto che la manifestazione è ancora indietro più di 500 metri"... "Ok, passate! Ma in fretta!". Il vento soffia sempre più, il temporale monta, comincia a piovere. Noi siamo arrivati all’Albera, dove ci separiamo. Gli altri, credo, avranno proseguito per viale Ferrarin, lungo il percorso previsto. Spero non si siano bagnati troppo. La tempesta è appena cominciata...


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inserita il 06/07/2009
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