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E le madri, stanche, smisero di marciare
Sono arrivato a Buenos Aires, e dato il clima intellettuale della città ho deciso di adeguarmi: sono ospite di una signora esperantista sposata con un pittore. E che l'arte valga, e pesi, me ne sono accorto subito: Silvia ed io abbiamo faticato due ore per spostare gli enormi quadri del marito dalla stanza degli ospiti...
Facciamo a tempo a riprendere fiato, che subito dobbiamo uscire per una intervista che gireranno in una galleria affrescata anche da Carlos. A accoglierci, e poi a fare le domande al pittore, una signora di 60 anni, nata a Vicenza (!) ma venuta qui all'età di 10 con la sua famiglia, per cercare fortuna... pare che almeno un pò di fama l'abbia raggiunta. È molto cortese, parliamo un pò in italiano e alla fine ci promette di realizzare un servizio sull'Esperanto quanto prima (magari, addirittura con me come ospite). Al nostro ritorno, in ritardo, troviamo alcuni giovani esperantisti che sono venuti ad accogliermi e ci hanno cortesemente aspettato; e facciamo notte, tra empanadas e domande/risposte.
E comincio a girare per questa grande grande città. Visito la casa Rosada, quella dal cui balcone Peron e la sua Evita arringavano il popolo; e la cattedrale, e le strade circostanti alla Plaza de Mayo. Ma è la piazza il punto focale: giovedì, per l'ultima volta dopo 2500 giorni simili, le cosiddette "Madri della Piazza" fanno la loro ultima marcia... in realtà, non perché si siano stancate, ma perché ritengono che l'attuale Presidenza della Repubblica le ascolti di più delle precedenti. Queste signore da tempo negli "anta", madri di persone scomparse durante la dittatura militare (i famosi "desaparecidos") sono diventate un simbolo della resistenza umana, camminando inarrestabili per ottenere giustizia per i loro cari. La gente si stringe a loro, migliaia raggiungono la piazza mentre artisti vari suonano, cantano, ballano e testimoniano il loro appoggio.
Il venerdì è un pò deludente: provo a visitare il teatro Colon, ma è così pieno di gente che posso solo riservare una visita per il prossimo lunedì; e scopro che molti luoghi (come la casa natale di Borges, per dirne una) sono chiusi per almeno altre 4 settimane per ferie... mi aggiro per la grande avenida Corrientes, spulciando tra i libri scontati venduti in molti negozi ed osservando i grandi cartelloni degli spettacoli teatrali, in cui (il Bagaglino insegna!) uomini in doppiopetto si accompagnano a signorine che a stento scoprono la loro nudità (è un'indecenza! dovrebbero eliminare subito quegli uomini in doppiopetto!). La serata però la passiamo bene, io e gli esperantisti che riuniti in un bar fanno a gara a chi riesce a parlarmi (tranquilli: il mio ego rimane sempre delle stesse, ridottissime dimensioni a cui vi ho abituati...).
Il sabato, per contro, vado a visitare il quartiere della Recoleta, con il suo cimiterone monumentale (e le code per vedere il sepolcro di Eva Peron Duarte) e i suoi parchi pieni di bancherelle che vendono artigianato di buona qualità a prezzi leggermente gonfiati... il pomeriggio, vado a visitare la sede del club esperantista, e a fare da ospite d'onore nella seconda parte della classe che lì si tiene. Al termine, i giovani ed io (che sono pure giovane!) andiamo camminando fino a Puerto Madero, il quartiere rubato al mare e trasformatosi in zona vip; vaghiamo per ore per trovare un luogo dove mangiare senza che ci mangino (come dice Marcelo), e alla fine ci abbuffiamo di pizza e pasta in una specie di "tenedor libre".
E arriva la domenica. Il Signore si riposò, io no (qualcuno deve pur farlo, questo sporco lavoro): parto presto, per il quartiere di San Telmo, dove il mercato domenicale è un appuntamento fisso e i ballerini di tango danzano al suono di chitarre e fisarmoniche. Visito anche la chiesa ortodossa, costruita col supporto dello zar Alessandro III, e le stradine un tempo diroccate ed ora trasformate in gallerie d'arte. A mezzodì, cambio: con la metro (efficiente) raggiungo Chinatown, per assistere ai festeggiamenti per il Capodanno cinese... e in strade strapiene di occhi a mandorla e di turisti, cerco di seguire il dimenarsi del grande serpente colorato che porta buona fortuna ai negozianti che lo adescano con offerte in denaro ed incensi profumati. Vado a rilassarmi nei pressi, dove al centro di un parco esiste una rotonda che gli appassionati di tango (ovvero: tutti) trasformano in pista di lezione (prima) e di danza (poi); e mi rendo conto che il tango, così serio come lo vediamo in tv, in realtà è ballato da tutti, con scarpe col tacco o piedi nudi, col capello azzimato o le trecce rasta, con la gonna nera frusciante o i pantaloni elastici da jogging, ma sempre sempre con la medesima serietà... tat-tara-taratà!
Facciamo a tempo a riprendere fiato, che subito dobbiamo uscire per una intervista che gireranno in una galleria affrescata anche da Carlos. A accoglierci, e poi a fare le domande al pittore, una signora di 60 anni, nata a Vicenza (!) ma venuta qui all'età di 10 con la sua famiglia, per cercare fortuna... pare che almeno un pò di fama l'abbia raggiunta. È molto cortese, parliamo un pò in italiano e alla fine ci promette di realizzare un servizio sull'Esperanto quanto prima (magari, addirittura con me come ospite). Al nostro ritorno, in ritardo, troviamo alcuni giovani esperantisti che sono venuti ad accogliermi e ci hanno cortesemente aspettato; e facciamo notte, tra empanadas e domande/risposte.
E comincio a girare per questa grande grande città. Visito la casa Rosada, quella dal cui balcone Peron e la sua Evita arringavano il popolo; e la cattedrale, e le strade circostanti alla Plaza de Mayo. Ma è la piazza il punto focale: giovedì, per l'ultima volta dopo 2500 giorni simili, le cosiddette "Madri della Piazza" fanno la loro ultima marcia... in realtà, non perché si siano stancate, ma perché ritengono che l'attuale Presidenza della Repubblica le ascolti di più delle precedenti. Queste signore da tempo negli "anta", madri di persone scomparse durante la dittatura militare (i famosi "desaparecidos") sono diventate un simbolo della resistenza umana, camminando inarrestabili per ottenere giustizia per i loro cari. La gente si stringe a loro, migliaia raggiungono la piazza mentre artisti vari suonano, cantano, ballano e testimoniano il loro appoggio.
Il venerdì è un pò deludente: provo a visitare il teatro Colon, ma è così pieno di gente che posso solo riservare una visita per il prossimo lunedì; e scopro che molti luoghi (come la casa natale di Borges, per dirne una) sono chiusi per almeno altre 4 settimane per ferie... mi aggiro per la grande avenida Corrientes, spulciando tra i libri scontati venduti in molti negozi ed osservando i grandi cartelloni degli spettacoli teatrali, in cui (il Bagaglino insegna!) uomini in doppiopetto si accompagnano a signorine che a stento scoprono la loro nudità (è un'indecenza! dovrebbero eliminare subito quegli uomini in doppiopetto!). La serata però la passiamo bene, io e gli esperantisti che riuniti in un bar fanno a gara a chi riesce a parlarmi (tranquilli: il mio ego rimane sempre delle stesse, ridottissime dimensioni a cui vi ho abituati...).
Il sabato, per contro, vado a visitare il quartiere della Recoleta, con il suo cimiterone monumentale (e le code per vedere il sepolcro di Eva Peron Duarte) e i suoi parchi pieni di bancherelle che vendono artigianato di buona qualità a prezzi leggermente gonfiati... il pomeriggio, vado a visitare la sede del club esperantista, e a fare da ospite d'onore nella seconda parte della classe che lì si tiene. Al termine, i giovani ed io (che sono pure giovane!) andiamo camminando fino a Puerto Madero, il quartiere rubato al mare e trasformatosi in zona vip; vaghiamo per ore per trovare un luogo dove mangiare senza che ci mangino (come dice Marcelo), e alla fine ci abbuffiamo di pizza e pasta in una specie di "tenedor libre".
E arriva la domenica. Il Signore si riposò, io no (qualcuno deve pur farlo, questo sporco lavoro): parto presto, per il quartiere di San Telmo, dove il mercato domenicale è un appuntamento fisso e i ballerini di tango danzano al suono di chitarre e fisarmoniche. Visito anche la chiesa ortodossa, costruita col supporto dello zar Alessandro III, e le stradine un tempo diroccate ed ora trasformate in gallerie d'arte. A mezzodì, cambio: con la metro (efficiente) raggiungo Chinatown, per assistere ai festeggiamenti per il Capodanno cinese... e in strade strapiene di occhi a mandorla e di turisti, cerco di seguire il dimenarsi del grande serpente colorato che porta buona fortuna ai negozianti che lo adescano con offerte in denaro ed incensi profumati. Vado a rilassarmi nei pressi, dove al centro di un parco esiste una rotonda che gli appassionati di tango (ovvero: tutti) trasformano in pista di lezione (prima) e di danza (poi); e mi rendo conto che il tango, così serio come lo vediamo in tv, in realtà è ballato da tutti, con scarpe col tacco o piedi nudi, col capello azzimato o le trecce rasta, con la gonna nera frusciante o i pantaloni elastici da jogging, ma sempre sempre con la medesima serietà... tat-tara-taratà!
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Commenti
Il giorno 31/01/2006, Jorge Tarducci ha scritto...
Il giorno 02/07/2006, Lidia ha scritto...
Il giorno 21/05/2007, Daniele ha scritto...
Según Juan Ramón Lodares Marrodán, en su artículo «Los dos orígenes de "manzana" 'bloque de casas'» (ver cita más abajo), en el caso de manzana ‘bloque de casas’ estamos ante una etimología popular explicable por dos posibles orígenes:
a) procede de uno de los varios derivados del francés maçon ‘albañil’;
b) procede de alguno de los derivados del francés maison ‘casa’.
No tiene nada que ver con la etimología latina de manzana ‘fruta’, de la que es un simple homónimo y nunca una acepción más en sentido de una metáfora, pues es difícil explicar cuál ha sido la imagen que sirvió de base para hacer de un fruto una obra urbanística. Aunque hay el precedente de naranja y media naranja, nombres usados internacionalmente para las cúpulas (una naranja de medio punto entre arco y arco) y de gajo para cada una de las partes en que se divide la cúpula.
Maggiori informazioni alla pagina
http://culturitalia.uibk.ac.at/hispanoteca/Foro-preguntas/ARCHIVO-Foro/Manzana%20en%20su%20acepci%C3%B3n%20urban%C3%ADstica.htm
a) procede de uno de los varios derivados del francés maçon ‘albañil’;
b) procede de alguno de los derivados del francés maison ‘casa’.
No tiene nada que ver con la etimología latina de manzana ‘fruta’, de la que es un simple homónimo y nunca una acepción más en sentido de una metáfora, pues es difícil explicar cuál ha sido la imagen que sirvió de base para hacer de un fruto una obra urbanística. Aunque hay el precedente de naranja y media naranja, nombres usados internacionalmente para las cúpulas (una naranja de medio punto entre arco y arco) y de gajo para cada una de las partes en que se divide la cúpula.
Maggiori informazioni alla pagina
http://culturitalia.uibk.ac.at/hispanoteca/Foro-preguntas/ARCHIVO-Foro/Manzana%20en%20su%20acepci%C3%B3n%20urban%C3%ADstica.htm
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inserito il 30/01/2006
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