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Incontri d'anime grandi e piccole in India

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Lasciata Hampi, prendo un bus notturno per Mysore. E sbaglio nel scegliere la cuccetta: prendo la prima del corridoio, in alto, e solo quando ci salgo noto che la cuccetta, già stretta, è pure smussata in fondo per failitare la salita dei passeggeri, riducendo così lo spazio per i miei piedi. Si aggiunga che, sempre dove vanno i miei piedi, c'è una gabbia metallica che, in teoria, serve per mettere un piccolo bagaglio, e che la lunghezza della cuccetta stessa è di circa 20 cm inferiore alla mia, e che il controllore decide di lasciare la porta aperta per chiacchierare con l'autista (la cosa dura poco, comunque: gli do presto un ultimatum di cinque minuti per chiuderla, e lui non sgarra di un secondo), e si capirà facilmente perché, in futuro, non prenderò più una cuccetta in quella posizione.

Comunque, in qualche modo, arrivo a Mysore, dove il giorno dopo mi raggiungerà l'amico Denis in arrivo da Udupi, dove si era concesso una settimana di ricovero e cure purificatrici in un ospedale ayurvedico. Ovviamente, l'hotel non ha capito una mazza della mia prenotazione, e mi fanno vedere 5 (cinque!) stanze matrimoniali prima di comprendere che ne ho richiesto una con letti separati; e un'ora passa così, e altre due riposando un po' dopo il viaggio in autobus. Poi, passo il tempo girando per la città, mentre cerco un posto dove cambiare un po' di soldi (mi son portato una discreta scorta di dollari, invece di affidarmi solo ai bancomat, questa volta); il mercato di frutta e verdura è a due passi, con i suoi vicoli affollati e i suoi mille colori, e offre anche un ottimo rifugio dal sole che davvero batte sulla testa. Del resto siamo al sud, lo stato è il Karnataka ma la differenza dal mio punto di entrata si sente.

L'hotel è incredibilmente decadente, la stanza sarebbe anche accettabilmente grande e confortevole (il letto è il più comodo provato fino ad ora) ma il resto sembra un misto tra la casa degli Addams e l'hotel di Shining, con i controsoffitti cadenti, le macchie ovunque sui muri, la polvere impastatasi in ogni angolo. A dare un senso a tutto ciò contribuisce anche il personale più inetto che io abbia mai incontrato: l'unica che si salva è una signora molto cortese e sufficientemente "sul pezzo", ma gli altri sono una manica di imbranati, incapaci persino di capire che - se hai 3 camere occupate sullo stesso piano - magari le sfalsi un po', specialmente sapendo che gli indiani tendono ad essere un po', come dire, rumorosi... E invece no, tutti attaccati a noi, li mettono, specie se fanno check in intorno alla mezzanotte, ché prima sono andati a cenare e fare un po' di baldoria.

Al mattino, dopo una notte davvero rumorosa, sto dormendo della grossa, e Denis deve bussare un bel po' prima che lo senta. Ci abbracciamo, è più di un mese che non ci vediamo, quindi passiamo un po' a ragguagliarci, anche se è da quando sono arrivato in India che ci telefoniamo (abbiamo entrambi chiamate illimitate comprese nei nostri magici chip telefonici). Poi, usciamo per andare a visitare la grande attrattiva di Mysore, il Palazzo, residenza ufficiale delal dinastia Wadiyar... e lo troviamo chiuso: qualche ora prima è morto, "improvvisamente" alla giovine età di 111 anni, lo swami Shivakumara, e nell'intero stato del Karnataka hanno proclamato tre giorni di lutto nazionale, con conseguente chiusura dei monumenti turistici (anche tu, caro Shivakumara, che avevi atteso 111 anni, non potevi tirare un altro paio di giorni?). Piano di riserva: salita (rigorosamente in bus) fino al tempio in cima alla collina di Chamundeshwari, poi camminata lungo le strade trafficatissime ma abbastanza pulite (Mysore si vanta di aver recentemente vinto, e per due volte di seguito, il premio per la città più pulita dell'India... figurarsi le altre!), pranzo, riposino pomeridiano tattico che anche per un giovane come me con questo caldo non fa mai male (figurarsi per un anziano come Denis) e, poi, l'incontro con un altro amico vicentino di Couchsurfing, Massimo, venuto in India a fare corsi di yoga e meditazione. Lo raggiungiamo al termine delle sue lezioni giornaliere e della sua camminata a piedi nudi sull'erba di un parco (rigorosamente di 30 minuti), e ci mettiamo a chiacchierare, aggiornandoci sulle nostre vicende; poi, una buona cena suggella una giornata spesa a compiangere il povero swami, e ci fa scoprire un altro segreto dell'India: spesso, la differenza di qualità tra un ristorantino di strada ed uno un po' più ricercato è ben superiore a quella di prezzo tra i due (ovvero: a volte, investendo un euro in più, si ottiene una qualità nettamente superiore).

Altra notte travagliata, in parte passata ad ascoltare il casino fatto dai vicini (ormai dormo sempre con i tappi nelle orecchie, per sicurezza), e via che si parte di nuovo. Il Palazzo questa volta lo troviamo aperto, ci arriviamo giusto quando apre e... beh, fa pensare che la vita dei sovrani, o almeno quella di certi sovrani, non doveva essere poi così male: enorme, costruito in stile indo-saraceno a cavallo degli inizi del secolo scorso, è estremamente opulento ma altrettanto di buon gusto, con eccessi che non sono eccessi, compresa la veranda rialzata con centinaia di colonne dalla qualche la corte si godeva gli spettacoli e le parate nel grandioso cortile. Entriamo come tutti a piedi scalzi, e riusciamo fare il giro completo prima che comincino ad arrivare tutti gli altri che avevano perso la visita il giorno prima: è sempre una buona idea, alzarsi presto al mattino :) Nel pomeriggio invece raggiungiamo i Brindavan Gardens, un parco con fontane costruito a valle di una grande diga, per migliorare un po' la qualità del territorio circostante. Come spesso accade qui in India, l'intenzione iniziale buona non è poi seguita da una costante manutenzione, ma se uno dimentica di trovarsi ai piedi di un bacino artificiale che potrebbe spazzarlo via in un attimo i giardini sono gradevoli da passeggiarvi, e lo spettacolo di suoni e luci attira torme di persone, anche in un giorno feriale. È bello mischiarsi ai locali per divertirsi, ti fa sentire un po' più parte di questo grande paese.

Nessuna visita a Mysore è completa senza una visita alle fabbriche di olio di sandalo e di seta che l'hanno resa famosa, e noi proprio questo facciamo all'ultimo giorno, con un tuk tuk preso in pratica a noleggio, nel senso che il guidatore accetta di aspettarci per guadagnarsi anche la corsa successiva e il tipo che gli fa da traduttore ha il solo scopo di portarci a visitare un negozietto di essenze ed incensi, dove Denis spende e spande ed io approfitto solo di un breve massaggio con conseguente scrocchiatura di collo. Poi, treno notturno per Madurai.

Che è una città famosa praticamente solo per il grande tempio Sri Meenakshi, nel quale noi ci precipitiamo il primo giorno, ché non si sa mai che muoia qualche altro santone e si ricada tutti quanti nel lutto. Grande è grande, e ci si mettono 20 minuti solo per entrare perché non si possono portar dentro scarpe, zainetti e cellulari, ed ognuno va lasciato ad uno sportello differente, riempiendo moduli e lasciando un obolo ogni volta (l'ingresso ai templi sarà pur gratuito, ma han trovato il modo di finanziarsi comunque). Poi, una volta dentro, il turbinio di colori è quasi pari a quello dei fedeli, che si inchinano davanti ad ogni idolo, accendono candele davanti ad ogni statua, parlano, mangiano, si inginocchiano, si gettano per terra, si chiamano da un lato all'altro. Le grandi torri variopinte, segno e cifra di questo templio, tutte ricoperte di raffigurazioni dell'enorme pantheon indù (ho letto da qualche parte che tra divinità maggiori e minori si arriva a più di 300 milioni), richiamano le tonalità dei sari tradizionali precedentemente usati per adornare le statue e che ora varie donne si contendono in un'asta che, immagino, contribuirà a finanziare le spese del tempio. Alcune zone ci sono precluse, nel sanctum i non induisti non possono entrare, ma per il resto possiamo vagare tranquillamente, osservando tutto, incamerando nella nostra memoria tutto quello che i nostri sensi riescono ad assorbire.

All'esterno del tempio, in un'area correttamente pedonalizzata, decine di negozianti offrono qualsiasi tipo di bene o cianfrusaglia, e a volte è dura capire dove comincia uno e termina l'altro. Entriamo in un ristorantino trovato per caso, dove servono solo dosa (grandi crepe di riso e pasta di fagioli) o idli (totini di riso, larghi come un krapfen e bombati ma più sottili), accompagnati da varie salse, compresa la chutney al cocco; la cosa più interessante, però, è che al posto del piatto veniamo serviti su una larga foglia di banano, che poi viene ripiegata ed ecologicamente eliminata al termine del pasto. 

Dopo pranzo, e sempre per paura di trovare tutto chiuso il giorno dopo, passiamo a visitare il palazzo del re Tirumalai Nayak, costruito nel diciassettesimo secolo in un misto di stili dravidico e rajput. Anche in questo caso, come a Mysore, i sovrani non se la passavano certo male: i colonnati e i soffitti di legno intarsiato e colorato che vediamo mentre giriamo attorno al cortile principale testimoniano di grande ricchezza, una ricchezza che ormai la maggior parte degli indiani neppure si sogna.

Sulla strada di ritorno all'hotel, che per una volta non abbiamo preso vicino al centro (l'ha prenotato Denis, e qui si capisce tutto!), visitiamo anche il museo dedicato a Mohandas Karamchand Gandhi, detto Mahatma ("grande anima"), forse una delle persone che ha più influenzato il secolo ventesimo e sicuramente importantissima figura per l'indipendenza dell'India dal giogo britannico. L'esposizione è principalmente sulla storia dell'India, un paese che ha conosciuto molti invasori da molte direzioni e di molte origini, che hanno contribuito a creare a dare forma, nei secoli, alle strutture sociali, religiose e culturali del subcontinente. Di Gandhi non c'è molto, tante foto di sue visite a Madurai e la tunica in cui fu ucciso, il 30 gennaio 1948, da un fanatico indù; due giorni prima, profeticamente, lo stesso Gandhi aveva detto: "se qualcuno dovesse terminare la mia vita con un proiettile, senza un lamento e inspirato per l'ultima volta il nome di Dio solo allora avrei reso buona la mia missione".

L'indomani, avendo visto tutto il primo giorno, dedichiamo il secondo a goderci i festeggiamenti per il Republic Day, una festa importantissima per tutta l'India... ah no, scherzavo: giriamo per tutta la città, e non vediamo uno straccio di parata, di pubblico discorso, di festeggiamento; il massimo che i maduraiani fanno è mettersi una coccarda al petto con la bandiera dell'India. Camminiamo allora per le strade, visitando pezzi delle antiche fortificazioni e altri templi (dove non è così complicato entrare), piluccando cibo qui e là; facciamo persino finta di essere interessati all'acquisto di souvenir, unico modo di salire fino al tetto di alcuni alti edifici da cui si può vedere molto bene il Sri Meenakshi. Ma è principalmente una giornata di riposo, preludio al nostro avvicinamento alla costa orientale.


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inserito il 26/01/2019
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