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Anche il gabbiano Salvador Gaviota non abita più qui

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Dolce è stata la mini-vacanza sul Rio Dulce, ma ora sta giungendo al termine, e domani già si ritorna in Honduras.

Ci eravamo lasciati nella città che prende il nome dal fiume, ai piedi di un enorme ponte in cemento che connette la strada principale per Città del Guatemala con quella che va a Tikal, nella regione del Peten. Un ponte che i camionisti percorrono con gli aerofreni dei loro mezzi al massimo della potenza, facendo un rumore infernale che tutti nella zona odiano, anche se ormai ci fanno l'abitudine. Non i turisti, che ci dormono male (almeno quelli che non hanno come me i tappi per le orecchie).

Il relax al Tortugal è stato completo: nessuno è venuto a rompermi le scatole nella struttura lignea fatta di stanze che sembravano voliere per le reti che le circondano, i pasti erano buoni ed ad un prezzo accettabile, e sono persino andato a sgranchirmi le gambe (una volta teminata la documentazione del tour da spedire a Londra) camminando fino al villaggio, attraverso alcuni boschi. Ma era un relax a scadenza, ché già il lunedì arrivava un grosso gruppo che aveva prenotato tutto, e quindi ho rifatto i bagagli e, con la lancia che collega a Livingston, ho disceso il fiume, arrivando in un luogo consigliatomi da una coppia che avevo incontrato per caso: la finca Tatin.

Nascosta lungo un ramo secondario del fiume, immersa nel verde, la finca è il paradiso della falegnameria, almeno nel grande edificio che fa da sala da pranzo e da soggiorno: uno spazio aperto, con molte amache che pendono dalle colonne di legno massiccio, illuminato da elettricità solare e da un generatore che viene acceso tra le 6 e le 10 di sera. Vari sentierini lastricati in cemento e sassi partono quasi a raggiera, raggiungendo le varie capanne per gli ospiti, alcune delle quali si affacciano direttamente sul fiume. Una corda sospesa sopra il pontile permette di lanciarsi in acqua come Tarzan, sedie e panchine sono invece a disposizione dei meno avventurosi (o più oziosi).

Io divido la stanza con una ragazza francese che è arrivata assieme a me, abbiamo due letti coperti da reti antizanzare e un pò di spazio per appoggiare i nostri bagagli; il bagno e la doccia sono fuori, comuni ad altre 3 stanze simili; la doccia è d'acqua tiepida (la parola freddo qui, semplicemente, non esiste), per chi la volesse calda calda c'è una doccia speciale a disposizione, 5 quetzal per pagare il gas usato. Colazione e pranzo sono alla carta, la cena è a menu unico alla stessa ora per tutti, o ci sei o non ci sei. A parte noi, ci sono una tipa americana che si è appena trasferita in zona e sta ancora esplorando, un gruppo di 7 medici che a quanto pare stanno facendo volontariato nelle comunità maya della zona, e una cricca tedesca in viaggio di nozze con due loro amici, lei crucca e lui guatemalteco (gli sposi hanno invitato, e fanno da guide e autisti, ma gli ospiti si pagano tutte le spese... buona idea!). Un ragazzo australiano aiuta (per modo di dire) i gestori del posto, traducendo per i poveri gringo che non sanno una parola di spagnolo.

Trascorsa la prima notte dormendo saporitamente, io e la francesina e lo sposo guatemalteco (che per un giorno preferisce lasciar stare la ciurma parlante solo tedesco... come non capirlo!) noleggiamo dei kayak e risaliamo il fiume per un paio d'ore, cosa non facile più per il vento che per la corrente, arrivando al "biotopo", una sorta di insenatura molto stretta dove ci auguriamo di poter vedere lo sfuggente lamantino. Quello che invece vediamo è un enorme ramo di un albero che, all'improvviso, ci cade addosso. Scena al rallentatore, per fortuna, dato che la caduta è attutita da altri rami, ma l'effetto non cambia: centra il nostro kayak doppio, ribaltandolo, e noi ci troviamo in acqua, che cerchiamo di salvare cellulari e macchine fotografiche, mentre le mie scarpe da ginnastica dimostrano ottime doti di galleggiamento e l'unico disperso risulta essere un asciugamano.

Svuotata e rimessa in sesto l'imbarcazione, riprendiamo l'esplorazione, anche se con tutto il casino e rumore che abbiamo fatto mi sa che i lamantini se ne sono andati in Belize. E difatti non ne vediamo neppure uno, ma lo scenario è stupendo lo stesso, con solo noi ad addentrarci in un canale che sembra inserirsi a forza nella giungla, pieno di farfalle Blue Morpho.

Il ritorno è più rapido dell'andata, un pò per la corrente ora a favore ma, soprattutto, perché a tratti piove e noi cerchiamo di andare più veloci delle nuvole. Eduardo, lo sposino, tira dritto fino alla finca, perché deve prendere la lancia per raggiungere Livingston, mentre noi ci fermiamo alle pozze termali di Aguas Calientes, acqua calda che esce dalle rocce e si mescola con l'acqua del fiume, con il solito effetto bolla che ustiona.

Arriviamo alla finca giusto 10 minuti prima che cominci a diluviare. Non smette fino alla mattina dopo, quando la mia compagna di camera ed io approfittiamo della gentilezza di Gilles, un francese dotato di catamarano e venuto alla finca per fare la sauna, che ci porta lungo il tratto finale del fiume fino a Livingston. Loro hanno intenzione di proseguire poi per Utila, un'isola in Honduras, mentre io faccio un pò di conti - calendario alla mano - e decido di fermarmi nel villaggio per 24 ore, ripartendo poi il mattino dopo.

Trovo una stanza presso la locanda di Stuart, "Casa nostra", e poi mi incammino lungo la spiaggia per raggiungere le cascate dei "7 altari". Ho un idea di cosa mi aspetta, ma quando raggiungo la spiaggia mi trovo davanti ad uno spettacolo sconcertante: è completamente ricoperta di spazzatura, principalmente oggetti di plastica e gomma e gommapiuma. Dicono che è il mare, che la spinge lì da Honduras e Belize, e può anche essere; ma, di certo, nessuno si mette a ripulire.

Stuart, americano, mi racconta di come abbiano tentato, lui ed altri pochi, di far partire un progetto di riciclaggio, per triturare la plastica e venderla, pagando uno stipendio a delle persone che la raccogliessero: nell'ordine, non hanno trovato appoggio dalla municipalità, qualcuno gli ha rubato i sacchi in cui era stata accumulata la plastica, e il tipo che ha prelevato con un camion la prima tonnellata di materiale prodotto se ne è andato senza pagare... risultato: hanno rivenduto la macchina trituratrice, ed il progetto è morto dopo 6 mesi. A quanto pare gli abitanti del luogo, in gran parte appartenenti all'etnia Garifuna, non sono molto interessati al futuro dei loro figli.

Così, lungo la spiaggia di Livingston rimangono solo aironi a pescare e tacchini e pollame vario a frugare tra i rifiuti, ma del gabbiano Jonathan Livinston (e della sua controparte spagnola) non c'è più traccia.

Nota bene:

La finca Tatin la si trova su internet all'indirizzo http://www.fincatatin.centramerica.com/

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inserito il 20/11/2014
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