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Donde l'agua se sume

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In montagna si va col mulo... in realtà, io ci arrivo in bus: sarà che l'ondeggiare dei mezzi su ruote mi provoca sonnolenza, sarà che il percorso è lungo e solo reso più interessante dall'attraversamento in lancia di un piccolo fiumiciattolo, fatto sta che solo quando arrivo a Cobàn mi rendo conto di essere sui monti, e per la frizzantezza dell'aria. Che non è fredda, si badi bene: solo più asciutta e fresca di quella in cui ero immerso nella regione del Petén.

Trovo alloggio nella locanda di don Pedro, che poi sarebbe il figlio di don Gonzalo, il vecchietto che mi fa da anfitrione e consigliere per le cose da fare in zona: una serie di stanze intorno ad un patio centrale, dove gli abiti stesi all'aria ondeggiano sopra l'erba e le piante basse; mi danno una stanza a tre letti tutta per me, nella pensione pare non esserci altri e la cosa è strana perché il prezzo è basso e la posizione favorevole... bah, meglio non lamentarsi, direi che mi va di lusso. Dopo aver appeso gli abiti ancora umidi che non si erano asciugati a Bellos Horizontes, vado a fare un giro in centro, o meglio a scollinare: il parco e la cattedrale, così come la strada principale, si trovano in cima ad una ripida salita, che precede l'altrettanto ripida discesa dalla parte opposta, quindi apprendo che la cosa migliore da fare è ottimizzare i passaggi cercando di ridurli in numero. Sotto i portici ai lati del parco ci sono delle bancherelle di venditori di libri, ma si tratta perlopiù di fotocopie di qualità non particolarmente alta, quindi dopo una veloce esplorazione lascio perdere e punto invece verso la chiesa del Calvario, che trovo in cima ad una ripida scalinata, con il custode che sta per chiudere ma mi lascia entrare a dare uno sguardo. E uno sguardo è sufficiente, perché la chiesa è molto essenziale, quasi vuota, con i banchi tirati su per pulire il pavimento e due enormi portacandele davanti all'altare, illuminati dalle decine di fiammelle accese. Il fuoco pare avere un significato particolare da queste parti, dato che all'esterno lungo una serie di stazioni di quella che probabilmente è una via crucis si trovano vari resti di fuochi più o meno grandi: a quanto pare, la chiesa è il punto di riferimento per diversi riti religiosi, da quelli cattolici a quelli della spiritualità indigena, che spesso si fondono in maniere quanto meno bizzarre.

Torno in basso, e vado a provare qualche pietanza tipica in un ristorantino che incontro, il tutto accompagnato da un buon succo di mora (che in realtà secondo me non è mora ma è qualcosa di simile alla chicha morada che avevo provato in Perù anni fa); le ombre della sera già mi avvolgono, quindi risalgo e ridiscendo fino alla mia pensione, dopo parlotto un pò con don Gonzalo e poi me ne vado a dormire.

Facendo un errore di valutazione, decido di restare per tre notti in una città che in realtà ha poco da offrire, per usarla come base per escursioni; meglio sarebbe stato agire diversamente... ma ne riparlerò più avanti. Una colazione a base di latte e tostaditas, una sorta di lingue di gatto rotonde e più spesse, davvero gustose, mi rimette al mondo, e quindi mi incammino per andare a visitare il Vivero Verapaz, una sorta di coltivazione di orchidee di tutte le dimensioni; sono quasi 3 chilometri, ovviamente in salita come tutte le strade qui, fatti sotto un sole che scotta per benino, però quel che trovo alla fine mi ripaga ampiamente, compreso un fiore particolare che, a quanto pare, resta aperto solo per un giorno (ed io, per pura fortuna, sono arrivato proprio quel giorno). Tornando indietro, mi fermo ad una finca di coltivazione e raccolta di caffé, a quanto pare quello che poi viene venduto nei vari Starbuck in giro per il mondo; vorrei fare il giro guidato, ma la guida è in pausa pranzo, quindi mi accordo per tornare il pomeriggio ed anch'io vado a mangiare in cima alla "rupe"; nel pomeriggio, dopo una sosta riposante da don Pedro, torno alla carica, e questa volta la guida c'è ed accompagna me e due tedeschi a vedere le piante e la lavorazione del caffé, oltre ad un sacco di altre cose: lo sapevate, per esempio, che gli avocado crescono sugli alberi? Io no, finché sotto una di quelle maestose piante non mi ci trovo anch'io.

Serata di San Valentino tranquilla, passata a guardare un film (anche perché non c'è trippa per gatti, oggi) e poi a letto presto, ché il mattino dopo all'alba delle cinque mi alzo e preparo per andare a prendere un minibus che va a Lanquin, impiegando due ore e mezza di cui gli ultimi trenta minuti su sterrato con buche... in discesa! Se pensate che questo sia già maligno per le vostre chiappe, non credete sia finita qui: dopo un quaranta minuti di attesa, riesco a salire su un pick-up che si fa altri 22 km su una strada impossibile, con salite e discese che mozzano il fiato agli altri turisti e ai locali che, come noi, si trovano dietro, nel cassone, aggrappati alla meglio a delle spranghe di ferro. Il motivo di questa sofferenza è un parco nazionale, quello di Semuc Champuy, caratterizzato da un ponte calcareo sotto il quale si infila ("se sume", in spagnolo) un fiume prima di sbucare di sotto ad una cascata, provocata dall'acqua che sopra il ponte scorre lieve attraverso enormi pozze poco profonde... una pacchia, sia vista dall'alto (c'è un punto di osservazione in cima a delle scalinate di legno ripidissime) sia provata dal di dentro: tutti arrivano con il loro bel costumino, e approfittano delle pozze, chi per un semplice ammollo al sole a guardare le scimmie urlatrici che, appunto, urlano, chi invece per scassarsi i fianchi lungo degli scivoli naturali, chi per tuffarsi da una pozza all'altra in allegria, mentre pazienti ed attente guardie/bagnine controllano che nessuno si uccida - o venga derubato.

Ecco, il mio errore di valutazione si rivela qui: non conoscendo il posto, non ho previsto di potervi soggiornare, cosa che invece è fattibilissima, e quindi alle tre devo tornare a Lanquin per non rischiare di perdere l'ultimo mezzo che mi porti a Cobàn (quelli furbi, invece, stanno nelle locande locali, e così possono attardarsi nelle pozze e poi alle diciotto andare alle grotte a vedere stormi di pipistrelli che prendono il volo).

Una cena al volo, ché ho una fame bestia, e poi riesco finalmente ad incontrarmi con Josué, l'unico CS locale, che con la sua macchina mi porta a fare un giro notturno della periferia e con il quale poi prendo un gelatone mentre si parla dei miei viaggi (tanti) e dei suoi studi (tanti: sta seguendo due corsi di laurea, contemporaneamente, oltre a prendere lezioni di coreano!).
Alle undici ci salutiamo, io torno alla locanda che, però, è già bella che sprangata; suono allora il campanello indicatomi, ma non arriva nessuno. Con sempre più vigore torno a suonarlo varie volte, e poi comincio a bussare ai portoncini, finché un assonnato don Gonzalo con passamontagna di lana pesante in testa si affaccia e si scusa per essersi addormentato nella stanza accanto... vabbè, non è morto nessuno, buenas noches a don Gonzalo e ci vediamo domani!


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inserito il 17/02/2012
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