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Troppi siti tra cui scegliere

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La regione del Péten, nel nord del Guatemala, è ricca di siti Maya, molti ancora appena individuati. Anzi, dire che è ricca è usare un eufemismo: la foresta è completamente tempestata di antiche rovine. Alcune, difficilmente accessibili, come El Mirador, per raggiungere il quale servono due giorni di cammino (e altri due per ritornare indietro), senza menzionare il fatto che essendo la zona molto utilizzata dai narcotrafficanti è sempre possibile fare qualche spiacevole incontro; altre, come Tikal, ti sono quasi servite su un piatto d'argento, tanto è facile visitarle. Ovviamente, tutto ha un costo... 

Il passaggio della frontiera con il Belize è rapido ed indolore, se non fosse per la tassa d'uscita che serve però a finanziare i progetti di conservazione in atto nel paese; poi, è solo questione di individuare il primo pullmino collettivo che parte per Flores, salirci e il gioco è fatto. Una volta a Flores, il difficile: raggiungere in fretta il villaggio di Belos Horizontes, dove vive la famiglia che mi ha offerto ospitalità per qualche giorno, prima che il capofamiglia e la moglie partano per il finesettimana per il villaggio di Carmelita dove devono incontrare la popolazione locale per portare avanti uno dei loro progetto equosolidali (www.buenascosas.org); un tuk-tuk (uno dei quei motorini a tre ruote tanto diffusi in Asia) fa però bene il suo lavoro, e riesco ad incontrarli per qualche minuto e a salutarli, oltre che a conoscere i quattro marmocchi con cui vivono.

La mia dimora è spartana, un tavolato con un materasso e una zanzariera intorno, in un angolo del giardino protetto da alti muri e coperto da un tetto di lamiera, e l'uso della cucina (o l'invitarsi a tavola) non è permesso, ma non mi serve altro; gioco un pò con i bimbi, poi quando si piazzano davanti alla tv vado a fare un giro fino a Flores, che è un'isola sul lago Péten Itza collegata da un ponte alla gemella Santa Elena (pare si chiamino tutte così, le città gemelle, da queste parti...). Le nuvole han lasciato spazio al sole, il lago a vedersi da qui è molto bello, anche se c'è poca vita intorno, e l'isolotto è poco più di un monticello con case raccolte intorno a vicoli stretti. Il capitano di una barchetta mi propone un giro per 6 euri, ma preferisco prendermela calma e mi siedo ad un ristorantino all'aperto, a dieci metri dalla riva, per pranzare guardando l'attività nell'imbarcadero.

Quando ormai è buio faccio ritorno, o almeno tento: un poliziotto prima e poi un autista mi fanno salire sul pullmino sbagliato, e quando mi rendo conto dell'equivoco ho già fatto un bel pò di strada e devo scendere, aspettare il primo mezzo che passi in direzione opposta e tornare in città, dove prendo un tuk-tuk che finalmente mi porta a destinazione. Il ragazzo sembra conoscere il fatto suo, quindi gli chiedo se vuole venire a prendermi il mattino dopo alle quattro, quando devo partire per raggiungere il bus su cui ho prenotato il viaggio per Tikal.

Lui acconsente, ovviamente, ed altrettanto ovviamente al mattino alle quattro, mentre piove, non si presente. Né alle quattro e dieci, né alle quattro e venti... gli lancio un certo numero di maledizioni, e provo a fermare qualunque cosa passi sulla strada principale, anche se in realtà non c'è molta scelta. Per mia fortuna, alla mezza un tuk-tuk venuto a cercare qualcun altro, che evidentemente non si è svegliato, decide di non voler fare la corsa a vuoto e mi carica, portandomi all'ufficio dell'agenzia San Juan, dove scopro - come già immaginavo - che sì il bus è già partito ma che sta facendo il giro per raccogliere i passeggeri e poi ripasserà di qua... basta attendere, pazientemente, come un cinese sulla riva del fiume.

Il viaggio dura un'oretta, ma considerando la tarda partenza arriviamo con mezz'ora di ritardo sull'orario di apertura, e ben oltre quello dell'alba, che a quanto pare è uno spettacolo molto ambito da vedersi dalla cima del tempio più alto; non è però un problema, perché ci sono talmente tante nubi nel cielo che chi ha pagato per vedere l'alba deve essere essere ben incavolato con Giove pluvio. Pagato l'ingresso mi incammino, e lungo i sentieri subito mi imbatto in una famigliola ben numerosa di coati mundi che rumano tutto il rumabile, mentre sopra di noi alcune scimmie ragno stanno a quanto pare traslocando da un albero all'altro. Raggiungo la Gran Plaza, e vi trovo solo una coppia di anziani visitatori che stanno facendo delle cerimonie di un qualche tipo, con bruciatura di incenso e spargimento di petali di fiori, mentre due ragazzi si aggirano leggermente storditi (sospetto si tratti di quelli che si sono alzati a notte fonda per vedere la mancata alba, ma magari hanno solo dormito clandestinamente tra le rovine). Su alcuni dei templi si può salire, solitamente tramite scalinate di legno appositamente approntate, perché molte delle originali sono o troppo rovinate o rese estremamente scivolose dal muschio che pare crescervi a velocità elevata (ho visto alcune foto dei monumenti ripuliti e poi di qualche mese dopo, e la differenza è notevole). Tra una struttura e l'altra, o meglio tra un complesso di strutture e l'altro, c'è spesso un bel pò di foresta, e questa è forse la parte che rende più apprezzabile il tutto. Ancor di più se si guarda ai 16 chilometri quadrati di sito visitabile dall'alto della terrazza del tempio IV: dal verde della selva spuntano, come funghi grigi sparsi in un prato, le parti sommitali degli altri 5 templi, più qualcosa dell'Acropoli Nord e del cosiddetto Mundo Perdido.

In complesso, però, non si tratta del Gran Finale che mi aspettavo di trovare, il punto culminante della mia avventura nelle città degli antichi Maya: Palenque, Uxmal e Mont Blanco in Messico sono, ognuno per le sue peculiarità, di gran lunga più attraenti che Tikal, quanto meno per me.

Verso le quattro del pomeriggio, dopo aver salutato tucani e scimmie e pure un picchio dalla testa rossa, torno all'ingresso, e salgo sul mezzo che mi riporta di ritorno verso Flores. Comincia a piovere, e viene giù davvero bene: la strada si allaga in fretta, l'autista deve ridurre la velocità e allo stesso tempo evitare i dossi (resi invisibili dal grigiore del crepuscolo piovoso), nei sedili posteriori c'è un tipo che a quanto pare sta imparando a leggere usando i titoli di un giornale scandalistico locale come libro di testo... aggiungete che il finestrino dell'autista, dietro il quale sono seduto io, non si chiude per più di metà, e capireteperché tiro un sospiro di sollievo quando, precedendo la tempesta, arriviamo a destinazione. Non volendo infilarmi in un tuk-tuk sotto il diluvio, dato che quasi tutti non hanno chiusure laterali per i passeggeri, faccio un salto al mercato a comprare delle banane e due avocado, pappandomi poi uno di questi ultimi all'interno di un fast-food locale che vende pollo fritto.

Cenato, abbeverato, torno a Belos Horizontes, e dopo un pò di conversazione ed una partita a carte con i bimbi me ne vado a letto, ché tanto di loro si occupa la nonna che arriva dopo un po'. La domenica la passo dormendo fino a tardi, poi facendo il bucato - sperando vanamente che si asciughi in tempo per la notte -, scrivendo le pagine del mio diario ed organizzando il proseguio del giro in Guatemala, finché non tornano i miei ospiti dal loro viaggio esplorativo e stiamo a fare conversazione sui loro progetti per le comunità locali e sulla situazione del paese in generale, inframezzando con qualche boccone di pizza che la figlia più grande è andata ad acquistare da Pizza Hut (sic!)... ne ho mangiate di migliori, ma lo sapevo in partenza, non avevo la qualità in mente quando ho accettato ma la possibilità di condividere un po'. Poi, ricomincia a piovere (per fortuna avevo appena ritirato la biancheria, che però non è proprio proprio asciutta...), e tutti spariscono, me compreso.


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inserito il 12/02/2012
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