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Guate, ovvero correre il rischio

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Mi sveglio e Paola, la tipa italiana che avrei dovuto andare a conoscere a Santa Cruz de Quiche, non mi ha ancora confermato la sua disponibilità ad ospitarmi, e quindi in realtà non ho ragione di andare in quella città. Inoltre, ho scoperto di aver ciccato il giorno (succede, quando si viaggia da un po'), pensando che il famoso mercato di Chichicastenango sia l'indomani mentre, invece, è proprio oggi... mi torna alla mente un'invito fattomi da William, un ragazzo che abita a Città del Guatemala, e decido di tentare il tutto per tutto: lo chiamo, e gli chiedo se l'invito è ancora valido e se, soprattutto, ha tempo di farmi visitare almeno una parte della città. Il motivo è presto detto: secondo molti, si tratta della zona più pericolosa del paese, dove si rischia di essere assaltati, derubati e, a volte, pure scannati anche in pieno giorno; avendo già provato una volta cosa vuol dire essere derubati con un arma puntata contro, non vorrei ripetere l'esperienza, quindi avevo deciso di saltare la capitale...

William mi risponde positivamente, quindi faccio in fretta e furia lo zaino e mi precipito alla stazione dei bus, dove prendo per un pelo quello della compagnia Monja Blanca che, in poco più di quattro ore e mezza, pausa ad un ristorante lungo la strada compresa, mi porta a Guate, come la chiamano tutti qui. Incontro il mio anfitrione appena scendo dal bus, e camminiamo assieme per qualche centinaio di metri fino a prendere il bus che ci porta nel suo quartiere, nella zona dell'aeroporto. La casa è stracolma di nipotini curiosi, cognate e madre, che mi accolgono cortesemente anche se, a quanto pare, William nella fretta si era dimenticato di comunicare il mio arrivo.

Poco male, però: spazio su in camera sua ce n'è, e un piatto di carne con riso e fagioli appare presto sulla tavola anche per me. Il sole, fuori, picchia bene, quindi decidiamo di riposare un pò prima di avventurarci in centro, con il minimo indispensabile (sicuri sì, ma non vale la pena di rischiare inutilmente); ed è una fortuna, perché William ha davvero deciso di farmi conoscere la città a piedi, e son più i chilometri che facciamo a piedi di quelli in cui usiamo i mezzi pubblici, tra i quali spicca sicuramente il nuovo metrobus, rapido pulito e comodo (se non fosse che la cassa automatica accetta solo monete da un quetzal, e noi non è che ne abbiamo una scorta infinita). Nonostante arrivi ben presto l'oscurità, accantono i miei timori ascoltando le storie delle varie cose che vediamo assieme, e quando arriviamo alla famigerata zona 1 - quella più centrale e, di conseguenza, potenzialmente più pericolosa, stazionando la polizia più nelle zone esterne dei ricchi - ormai mi aggiro tranquillamente, scattando foto a ciò che mi interessa (sempre senza esagerare, però: la macchina fotografica entra ed esce dallo zainetto, restando fuori il meno possibile). Mangiamo al volo vicino al mercato, poi camminiamo lungo quella che si può considerare la via dello "struscio" fino a raggiungere la piazza principale, con la cattedrale ed i palazzi governativi. È strano, una sera così nella capitale del paese e pochissima gente in giro, ma il timore non è solo dei turisti evidentemente. E, poi, c'è il problema dei trasporti: i bus si fermano alle 21, quindi noi ci ritroviamo a correre le ultime centinaia di metri per non rischiare di non poter tornare a casa. Arrivati, William decide di onorarmi accendendo la tv sul canale di Rai International, e ci cucchiamo una parte del Festival di Sanremo (una delle parti più idiote, a quanto vediamo) prima che riesca a convincerlo a suon di sbadigli che abbiamo avuto una giornata molto intensa e che vale la pena far calare il sipario...

Al mattino dopo, metabolizzata una buona colazione (sempre riso e fagioli, ma anche uova e prosciutto), torniamo in centro, per vedere la città sotto una differente luce. Arrivati nella piazza della cattedrale, che poi visitiamo, ci imbattiamo in una manifestazione di indigeni, molti con indosso i loro vestiti tradizionali e tutti con una faccia che pare dire "non so perché sono qui, mi han detto di salire sul bus ché mi portavano a vedere la città"... il corteo si muove come un serpente intorno alla grande fontana, poi si divide in due oltrepassandola per riunirsi dall'altra parte, inseguito da miriadi di venditori ambulanti che sperano di piazzare chi il gelato chi il pacchetto di noccioline, mentre le macchine rimangono bloccate con i loro guidatori strombazzanti (ma neanche troppo, rispetto a quello che mi sarei aspettato). Ci colpisce la decisione del prete di far chiudere porte e cancelli principali della cattedrale, perché teme l'ingresso di questa moltitudine colorata che onestamente sembra più pacifica dei partecipanti alla marcia della pace di Assisi; una decisione, a quanto pare, presa in comune accordo - o, quanto meno, comunicata - con le altre chiese, che troviamo sprangate mentre ritorniamo sui nostri passi per raggiungere il punto da cui salgo su un bel bus colorato, di quelli americani tipo Blue Bird, per raggiungere Antigua, dopo aver ovviamente ringraziato il mio Virgilio personale.


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inserito il 17/02/2012
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