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Nella foresta pluviale... pluve

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Una delle motivazioni per le quali avevo accettato di ritardare il mio rientro in Italia e di condurre un ulteriore tour in Perù per JLA era che avremmo visitato una parte del paese che io ancora non conoscevo, ovverossia la foresta pluviale nei pressi di Puerto Maldonado: ero infatti stato in quella al nord, nella zona di Iquitos, alcuni anni fa, ma qui - una delle zone considerate più ricche per biodiversità - invece no, e la curiosità la fa ovviamente da padrona...

Il punto è che arrivare a Puerto Maldonado non è semplicissimo né rapidissimo, per via terrestre, perché come bene dice la parola "pluviale" spesso piove, e abbondantemente, lasciando fango al posto delle strade e, a volte, macerie al posto dei ponti. Quasi tutti volano, quindi, ma la mia idiosincrasia per il sorvolare zone che, pontenzialmente, potrebbero essere interessanti mi aveva sempre frenato. Questa volta però mi ci mandavano, quindi ne ho approfittato.

Arrivare da Cusco a Puerto Maldonado è come fare un bagno vestiti, per il massiccio cambio di temperatura e, soprattutto, umidità: scendi dall’aereo e ti penti di non aver indossato il costume da bagno. Fa caldo, c’è afa, mancano solo le cicale e poi sarebbe un agosto italiano, con la differenza che qui parlano tutti spagnolo, a volte spanglish (quella terribile mescola con l’inglese, necessaria se vuoi sopravvivere nel mondo del turismo ma cacofonica per chi parla entrambi gli idiomi).

Prelevatici, ci portano prima agli uffici di Rainforest Expeditions, l’agenzia che ci organizzava tutto il pacchetto, una impresa interamente peruviana con un alto grado di eccellenza, grazie anche al fatto che il management è quasi interamente figlio di stranieri o di gente che si è formata all’estero (ché ’sti peruviani, come ho già avuto modo di dire, son tanto bravi a lavorare però capacità imprenditoriale quasi zero...), dove lasciamo parte dei nostri bagagli, e poi partiamo su un pulmino per raggiungere il fiume Tambopata, dove una lancia ci porta in meno di un’ora alla nostra Posada Amazonas.

Alte passerelle di legno collegano i vari blocchi di alloggi alle sale comuni, anche se chiamarle sale è un po’ fuorviante perché si tratta di strutture simili a capanne, molto belle e molto curate, senza tante pareti in modo da godere appieno della foresta che ci sta attorno. E le stanze seguono il medesimo principio: una intera parete manca, offrendo la vista sui verdi e marroni della vegetazione, e tutto è fatto o rivestito in legno, tenuto lucido con olio di oliva (spero, economico) per impedire che l’umidità faccia il suo corso. Due grandi letti con zanzariere, un tavolo con una brocca d’acqua purificata per bere, il bagno con una doccia (acqua calda!) costituita da un robusto telo di naylon che permette una visione a 360° (peccato essere soli, in camera :)). E un’amaca, immancabile (anche se l’assenza di una zanzariera per la stessa la rende quasi un vassoio da portata per i simpatici insetti succhiasangue...)

I pasti sono serviti a buffet in una delle aree comuni, alla presenza dello chef che li ha sapientemente cucinati; deliziosi, sufficientemente vari, e abbondanti. Una sera preparano pure degli spaghetti (che qui usano come contorno per il secondo, gli invicili!), li provo un po’ diffidente ma sono ottimi, e mi alzo per fare il bis e stringere la mano all’uomo dal cappello bianco, che mi guarda un po’ basito finché non gli racconto delle mie origini italiche.

Escursioni, ovviamente. Quante se ne vuole, sempre in compagnia di una guida che sta con te da quando arrivi a quando risali sull’aereo. Nel nostro caso, Silverio, uno dei più esperti del posto. Con lui andiamo fino alla torre di avvistamento, che con un’infinita scalinata ti porta su a 37 metri sopra le foglie degli alberi, e possiamo sbirciare le scimmie urlatrici mentre si muovono sui rami, e guardare negli occhi tucani e falchi... poi, d’un tratto, uno sbattere d’ali, e alcune macchie blu e verdi e rosse ci volano vicino: sono degli ara macao, deliziosi mentre volano senza far il solito casino che contraddistingue i pappagalli. E visitiamo pure un centro di medicina naturale, dove lo sciamano (purtroppo assente, ma ci aveva lasciato il suo fidato apprendista come guida) ancora cura le persone con pozioni ricavate dalle piante che coltivano nei giardini della clinica, solitamente con l’aggiunta di pisco puro ed altri ingredienti che, forse, rendono il tutto un po’ più digeribile... dicono che si ubriachino un pochino, durante le cerimonie, e la cosa non mi stupisce poi tanto.

Essendo foresta pluviale, pluve, anzi piove. Il programma è quello di alzarsi alle 4:30 (del mattino, avete capito bene!) per fare colazione e poi partire alla volta di un lago vicino, ma quando apriamo gli occhi fuori sta venendo giù il diluvio. Facciamo finta di niente, ma Silverio dice che è meglio aspettare fino alle 7 per vedere se spiove. Quasi tutti tornano a letto, più grati che delusi. Alle 7, però, diluvia. Troviamo un gioco del Jenga e lo usiamo per passare il tempo mentre la pioggia continua, ininterrotta. Almeno fino alle 9, quando sembra smettere. Decidiamo di partire, ma già quando siamo arrivati alla prima imbarcazione ha ripreso a venir giù, sebbene non tanto forte come prima. E noi alla fine la ignoriamo, tiriamo su i cappucci e continuiamo, finchè non giungiamo al lago dove, su un catamarano spinto a timonate da un giovane e valente marinaretto, ci inoltriamo silenziosi sperando di vedere la famiglia di lontre che colà dimora.

Uccelli tanti, di tutti i tipi. E persino un caimano. Finché eccole, le lontre: fanno capolino dall’acqua, una cattura un pesce e le altre protestano perché non vuole condividerlo, la seguono, cercano di convincerla, ma lei niente, se lo tiene stretto con le zampine e poi se lo sgranocchia. Ci seguono, ci spiano, noi ci teniamo a debita distanza per non disturbarle, e la cosa ci ripaga, perché dopo essere sparite per un po’ torneranno a farsi vedere vicino al pontile dove riattracchiamo, zuppi e felici anche se nessuno (neppure Silverio) è riuscito a pescare un singolo piraña (ma ne abbiamo sfamati tanti...)

Ultima escursione, quella notturna, la più terribile perché, nel buio della notte, qualsiasi rumore si trasforma in qualcosa di spaventoso, e le piccole torce elettriche non bastano a scacciare i demoni ancestrali che ci accompagnano.... buuuuuh!

Due notti, due giorni. Poco tempo, davvero: a tutti sarebbe piaciuto restare più a lungo. Ma l’aereo ci aspetta, e dobbiamo tornare a Lima.

Nota bene:

Il sito di Rainforest Expeditions, che possiede 3 differenti lodge lungo il fiume Tambopata, è http://www.perunature.com/

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inserito il 13/04/2013
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