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Ballando la Marinera, senza Atahualpa

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10 giorni in Perù, e in molte parti del paese piove. È ovviamente un peccato sprecare dieci giorni, restando oziosamente a non far niente nell'umida atmosfera di Lima, e quindi ho deciso di provare a girare un po', cercando di evitare e schivare l'acqua. Che poi non è che stiamo parlando di monsoni, ma sicuramente andare a fare trekking sopra i 4000 metri con un temporale qua ed un temporale là non è la situazione ideale.

Armato di mappa, ho scelto Cajamarca. Perché non c'ero mai stato, perché speravo di vedere qualcosa dei festeggiamenti per il carnevale (anche se è ancora di là da venire), perché lasciava aperte altre possibilità di esplorazione, perché ho trovato un tipo che mi poteva ospitare, perché c'era morto Atahualpa, figlio rinnegato dell'Inca... insomma, tutta una serie di validissime ragioni, per cui ho preso un biglietto per il viaggio (14 ore previste, 17 effettive, autobus con sedili reclinabili abbastanza ma con distanza tra gli stessi non sufficiente a farmi viaggiare comodissimo, prezzo inferiore ai 30 euri) e, salutati Vanessa e Daniele, sono partito.

Herbert, giovane architetto, e suo fratello Mario, arredatore d'interni, mi hanno accolto nel loro ufficio, che funge anche da ricovero per couchsurfer mentre stanno affittando l'unica stanza che solitamente usano per gli ospiti a una coppia di spagnoli, i quali essendo paganti non vengono allontanati per far posto a dei viaggiatori saccopelisti simpatici quanto vuoi ma che non cacciano un peso; e, come me, negli steggio giorni hanno accolto anche una tipa peruviana e tre francesi, con la stessa cortesia ma con lo stesso problema logistico, ovvero la quasi totale assenza di letti (e ti credo pure: è un ufficio, mica un hotel)... si è andati in ordine di arrivo: prima la peruviana e poi, quando questa se ne è andata, io e chiunque delle francesi volesse condividere il materasso (non si urli alla promiscuità, qui: ognuno se ne stava imbozzolato nel suo bel saccoletto).

Atahualpa, si diceva: fu lì nei pressi che Pizarro lo sorprese e catturò, lo tenne rinchiuso a lungo e, dopo aver ottenuto il pagamento di un riscatto che, a quanto pare, assommava a due stanze piene d'argenteria ed una piena d'oro, lo mise a morte (sempre simpatici, questi conquistadores). Rimane da vedere (da fuori, perché la stanno restaurando), la famosa stanza del "rescate", del resto c'è poco. Però ci sono molte belle chiese in stili coloniale, barocco, mestizo ecc. ecc.; e una piazza che, le sere del fine settimana, durante il periodo carnascialesco, si popolano di gruppi di amici che, al suono di tamburi e trombe, continuano a sbevacchiare (poco, per onor di cronaca, nel senso che si passano tutti la bottiglia; però, dopo alcune ore...) e a cantare le stesse canzoni, e l'effetto è quello di un miliardo di cicale stonate che friniscono all'unisono. Questo di notte. Di giorno, invece, c'è la deprecabile tradizione di lanciare palloncini pieni d'acqua addosso ai passanti, con una certa foga e prendendo pure la mira... io passo incolume il più delle volte, faccia da gringo e dimensioni che incutono timore al bambino peruviano medio, ma ogni tanto la bomba mi arriva vicino, magari per cercare di centrare l'ignaro passante che mi precede o mi segue. E, parlando d'acqua: un giorno mi concedo una visita alle terme dette "il bagno dell'inca", dove ad una cifra spaventosamente bassa noleggio una saletta tutta per me, con vasca che riempio d'acqua semibollente e in cui mi immergo per una trentina di minuti buoni (non di più, che poi l'effetto benefico dei sali presenti va a quel paese ed intervengono invece malanni degni delle piaghe d'Egitto), e, soprattutto, un massaggio super che in 30 minuti mi rimette a posto con la coscienza (e mi fa scoprire nuovi, dolorosi muscoli che avevo scordato d'avere da alcuni anni).

Mangiare al mercato è una cosa che m'è sempre piaciuta, se non siete schizzinosi e non vi da fastidio un maiale appeso a testa in giù si possono trovare ottimi piatti, cucinati con cura, a prezzi ridicoli; e la compagnia non è male, spesso si trova gente che ha voglia di fare quattro chiacchiere, invece che le menti obnubilate dalle televisioni sempre accesse che affollano i ristoranti "normali". Sono quindi grato ad Herbert che mi ci porta un paio di volte, indicandomi quali sono i suoi banchi preferiti e introducendomi alla cucina della zona.

Quanto ai siti archeologici ce n'è un paio, di cui sicuramente Tumbe Maio è il più importante, ed anche il meno facile da raggiungere se si va per conto proprio: meglio aggregarsi ad un tour organizzato, costa poco e si risolvono molti problemi logistici. Complici le nuvole nel cielo, che giocano a rimpiattino con il sole, scatto delle belle foto, soprattutto di quella che chiamano "foresta di pietra", una serie di pinnacoli di varie forme e dimensioni sparsi lungo una valle.

Colto da un'ispirazione, che si rivelerà purtroppo poi errata, decido di raggiungere Huamachuco, a qualche ora di distanza, sperando di poterla usare come base per raggiungere poi Caraz e la Cordillera. Niente di più errato, in quanto esiste sì una strada ma non ci sono mezzi pubblici diretti, e saltando da uno all'altro con un pò di fortuna ci vorrebbero almeno due giorni e mezzo per percorrere 200 km. Tempo che io non voglio perdere, anche e soprattutto perché le piogge si fanno sempre più insistenti, andando avanti per ore intere. Ne approfitto, è vero, per mettermi al pari con il lavoro per i prossimi due tour di Journey Latin America, ma il fatto di uscire dalla mia stanza solo per brevi passeggiatine e per andare a mangiare è oltremodo noioso. Faccio un timido tentativo di andare a visitare un sito anche là, Marcahuamachuco, ma lo sprazzo di sole sparisce in fretta e mi stufo di attendere, compro un biglietto per Trujillo e raggiungo la costa, e tanti saluti alle montagne.

La costa è tutta un'altra cosa: più caldo, e sole. Trovo alloggio in una pensione che tutte le guide, LP per prima, raccomandano, ma dove una signora inizialmente scorbutica mi accoglie quasi contro voglia: Clara, dell'omonima Casa de Clara, guida ottantaduenne (ma giuro, ne dimostra almeno 10 di meno), regge con pugno di ferro ma senza guanto di velluto (che sarebbe utile quantomeno per spolverare le ringhiere e i telai dei letti a castello) la sua magione, ma per me va bene ché tanto mi faccio vedere il meno possibile, gironzolando per la città o restando in camera a lavorare al computer. Le ragioni, per uscire, ci sono tutte: proprio in questi giorni, Trujillo è sede del festival internazionale della Marinera, un ballo molto simile (anzi, derivato da) alla Cueca cilena, in cui i partner si danzano intorno agitando dei grandi fazzoletti bianchi; e, per mia fortuna, l'azione non si svolge solo al chiuso del palazzetto, con tanto di biglietto d'ingresso ed interminabili ore di esibizione, ma anche nella piazza principale, dove ogni sera la banda comunale accompagna le coppie che si lanciano in questa corrida senza tori. È notevole l'abilità di molti dei partecipanti, compresi dei bambini che forse non hanno ancora l'età di mia nipote ma già possono vincere medaglie; e la folla gradisce, ed io pure, e la banda accompagna il tramonto ogni sera.

E, poi, nei pressi c'è Huanchaco, con il suo litorale famoso per le barche di canne (la stessa totora del lago Titicaca) e per le gare di surf, che a quanto pare si giovano di uno dei migliori e più lunghi point break della costa sudamericana. Ci vado un giorno, anche perché non sono interessato a rivedere i vari siti preincaici come Chan Chan e le Huaca, e piazzato in spiaggia con altre centinaia di persone guardo le evoluzioni dei maestri della tavola (che non sono fumettisti, in questo caso, sia chiaro!) o, più prosaicamente, chiudo gli occhi e ponzo.

Due giorni finali a Lima, con il babyshower dei miei amici per il loro presto nascituro Nicolas e una visita guidata - in cui mi sono imbattuto per puro caso - interessantissima per le strade del centro storico dell'ex capitale del viceregno spagnolo, e poi si riparte, alla volta - questa volta - dell'Ecuador.


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inserito il 28/01/2013
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