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Chissenefrega dei vulcani

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È incredibile come il tempo atmosferico possa fare la differenza tra due esperienza di viaggio per altri aspetti molto simili. In Ecuador, per esempio, non esistono davvero le stagioni come le intendiamo noi, ma - sto generalizzando, ovviamente, quindi non me ne vogliano i meteorologi - una stagione non piovosa ed una stagione piovosa. Non che sia un sorpresa: trovandosi così vicino all'equatore, gli eccessi di freddo e di caldo che conosciamo noi in Europa sono rari se non assenti, mentre a fare la differenza sono le grandi nubi che arrivano sia dall'Oceano Pacifico che dalla foresta amazzonica.

Tutto questo preambolo per dire che gli ultimi 9 giorni passati con il mio tour Albatross (mai nome fu più azzeccato, e capirete il perché dopo) a percorrere la spina dorsale del paese, da Quito fino a Guayaquil, sono stati molto diversi da quelli che avevo vissuto alcuni anni fa (vedi le pagine del mio diario di bordo), quando le condizioni climatiche mi avevano permesso di sfruttare al meglio il tempo che mi ero preso per visitare uno dei più piccoli paesi del Sud America: da che siamo partiti, sabato scorso, le nuvole ci hanno quasi sempre accompagnato, e spesso hanno pure rovesciato su di noi il loro umido carico. Ma la pioggia, di per sé, non avrebbe causato grandi danni, specie in considerazione del fatto che tutte le persone che viaggiavano con me, proveniendo dal Regno Unito, sono ben più che aduse (bellissima parola, degna di Mario Monti!) alla stessa. Il problema sono le nuvole, che quando stai viaggiando sopra i 3000 metri tendono a confondersi facilmente con la nebbia, ovverosia coprono tutto il tuo orizzonte. E se vieni in Ecuador per vedere i vulcani (non solo quelli, ovviamente, ma certo sono tra le attrattive principali) e ti trovi davanti ogni giorno un muro opacamente grigio che te li nasconde alla vista... beh, diciamo che non fai i salti di gioia.

Quindi, un tour relativamente facile (quasi tutto ben organizzato, non molti giorni, persone già in parte abituate all'altitudine e che, quindi, non ti cadono preda di sintomi vari) si è trasformato in un discreto sforzo per rendere interessanti le giornate, in particolar modo i lunghi tragitti. Se Quito, infatti, ci ha offerto un bel tour a piedi domenicale, quando il centro storico è chiuso al traffico veicolare e tu, con la pur sempre necessaria attenzione, sei almeno un pò libero di gustarti le grandi chiese e le strade che ancora conservano un aspetto coloniale, e la visita ai villaggi/musei (farei forse meglio a dire "parchi di divertimento") sulla (supposta) linea equatoriale ci ha permesso di trascorrere qualche ora in uno stato di credulità sospesa, già dall'escursione ad Otavalo le cose han cominciato a risentire degli eventi atmosferici: intanto era lunedì, ed al lunedì il famoso mercato si trasforma in qualcosa di molto più semplice - sufficiente comunque a spendere soldi, per chi ha voluto acquistare un pò di souvenir artigianali -; aggiungici il grigiore, un pò di pioggerella, e alla fine per fortuna che abbiamo pensato (la guida ed io) di portare il gruppo a vedere il mercato alimentare (ancor più interessante del primo, secondo alcuni) ed un laboratorio dove costruiscono strumenti musicali (che quando ci sono arrivato ho avuto una sensazione di deja-vu, e in effetti c'ero stato durante il mio precedente viaggio) sulla via del ritorno, a Peguche. Anche se, sicuramente, la vista più memorabile è stata quella di una lite tra un poliziotto ed un venditore ambulante, per una questione (crediamo) di permesso di vendita: il poliziotto ha cercato di tenere a bada l'omone, evidentemente alterato per l'ingiunzione di andarsene, a colpi di spray al peperoncino (che però veniva spruzzato sulla maglietta del suddetto omone, e non in faccia come consigliato da qualsiasi manuale del bravo poliziotto); e l'omone, evidentemente non felice di avere la maglietta insozzata, che rispondeva a colpi di ombrellone, mettendo in fuga il tutore dell'ordine costituito!

Il giorno dopo siamo partiti, e sono stati due giorni di nubi e pioggia, con i maestosi Cotopaxi e Chimborazo quasi completamente invisibili, ed io che li disegnavo sui finestrini del bus per lenire la comprensibile disillusione dei miei passeggeri, mettendo in campo tutto il mio sapere di geologia e campi affini per cercare di distrarli. Un'altro mercato, quello di Latacunga, apparentemente ancor più interessante del precedente, e dove molti hanno fatto acquisti gastronomici per avere degli snack da viaggio (come non resistere alla tentazione di 10 avocado per un dollaro?), e poi un gelatino a Salcedo, dove li fanno davvero buoni e a quanto pare un negozio ogni tre ne vende, hanno aiutato un po', finché non siamo arrivati alla nostra hacienda Abraspungo vicino a Riobamba, una fantastica vecchia azienda agricola trasformata in hotel con stanze gigantesche, grandi prati, cibo delizioso. È stato, peraltro, l'unico posto in cui ho dormito nello stesso luogo dei miei clienti, per la consolidata abitudine (che io depreco, per motivi logistici, ma su cui ovviamente non posso dire niente) di tenere normalmente i tour leader in alloggiamenti più economici di quelli che si offrono ai clienti (paganti); e devo dire che me lo sono gustato, nonostante il freschino che faceva nelle camere non riscaldate, se non altro per la comodità di non doversi alzare mezz'ora prima giusto per raggiungere il punto di partenza degli altri.

Dopo il viaggio sul treno alla Nariz del Diablo, e una visita alle rovine incaiche di Ingapirca in una atmosfera che la nebbia e le titubanze linguistiche della nostra guida hanno reso ancor più misteriose, tre giorni a Cuenca ci hanno finalmente riconciliato con il sole, tanto che molti si sono comprati un bel cappello di Panama (ché li fanno qui, al Canale li vendono solo); anche se, quando siamo andati a camminare nel parco Cajas, di nuovo nuvole e pioggia (più le prime che la seconda, a dire il vero) ci hanno fatto compagnia. A Cuenca, come in quasi tutte le città del paese, già si stava festeggiando il carnevale a colpi di banda, petardi e fuochi artificiali, e l'onnipresente spruzzata di acqua o schiuma sui passanti; ovviamente noi non siamo passati indenni, 13 gringo che si muovono lentamente sono un bersaglio che nessuno si lascerebbe scappare...

Ora sono a Guayaquil, ma sto per ripartire per Ambato, dove spero di vedere qualcosa di più del carnevale. Quasi tutti i miei passeggeri sono partiti invece per le Galapagos questa mattina, e auspicabilmente saranno in grado di vedere tartarughe, iguane e persino albatros (da qui il nome del tour, e per fortuna: se l'avessero chiamato Cotopaxi, sarebbero stati grossi guai per me), in fin dei conti contenti di un tour che sicuramente ci ha divertito molto, e alla fine chissenefrega dei vulcani...

Nota bene:

Una interessante pagina (purtroppo, solo in inglese, ma Google Translator fa miracoli) sull'origine del nome del cappello di Panama è http://www.brentblack.com/pages/history.html

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inserito il 10/02/2013
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