Venti patagonici

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L’ho raccontato anche alla mia nipotina Anna, nel blog ZioGiramondo che le ho dedicato: la Patagonia è una terra di infinita bellezza, ma anche di forti venti.

La ragione di questi venti è semplice, se ci pensate: dall’Antartide fino alle Ande non c’è, in pratica niente, a fermare quelli che arrivano da sud; mentre a nord si trova una delle masse di ghiaccio più grandi del mondo (la terza, credo, dopo appunto l’Antartide e la nordica Groenlandia). La differenza di temperature provoca continue correnti d’aria, tendenzialmente fredde: stare in piedi davanti al ghiacciaio Perito Moreno è come piazzarsi davanti alla porta di un frigo aperto, solo che in questo caso il frigo è lungo 4 chilometri e profondo alcune decine.

Poi tu viaggi per la pampa patagonica e ti stupisci di vedere solo cespugli, camelidi pelosi e similstruzzi che corrono veloci; di alberi, niente... ci credo: prova tu, povero albero, a venire su con venti che soffiano a 80-90 km all’ora, se non di più, e a resistere... mica è facile, e difatti di alberi non se ne vedono. Ce ne sono nel parco nazionale Torres del Paine, almeno quando l’ennesimo idiota non accende un focherello per bruciare la carta igienica (invece di infilarsela dove dovrebbe) e da vita ad un incendio che devasta tutto; complice, di nuovo, il vento.

Torres del Paine, dicevo. Arrivati in tour, un tour che si chiama come il suddetto similstruzzo, nandù, alloggiamo al Rifugio Torre, una struttura molto grande che, però, basicamente rimane un ostello, con camere contenenti 3 paia di letti a castello ciascuna, con i blocchi di bagni e docce, con il ristorante modalità mensa pubblica dove tutto è servito su vassoi di metallo. Un ostello che però si fa pagare bene, quando vuole (giusto per parafrasare Vasco Rossi): una media di 80 dollari a notte per persona. Esatto, avete letto bene: ottanta dollari. Il problema è che è privato, su suolo privato, ché mica tutto la terra che rientra all’interno dei confini del parco è dello Stato, alcuni pezzi sono ancora in mano a privati che, a cambio della disponibilità a lasciarvi passare animali ed escursionisti, ottengono di potervi costruire qualche hotel e ostello, facendosi poi pagare quanto vogliono.

Per noi però la posizione è ottima; e quindi, anche se a volte qualcuno dei nostri viaggiatori storce un po’ il naso al pensiero di dover dormire in una stanza con altri 4 o 5 sconosciuti, si ricrede quando vede che tutti i migliori sentieri partono proprio lì vicino. Ovviamente, il tempo non è sufficiente per esplorarli tutti, e quindi solitamente ne scegliamo un paio, con la guida che sempre ci accompagna (per legge e per praticità): primo giorno lungo il lago Nordenskjold, fino al punto di osservazione de Los Cuernos (altra formazione geolocigamente interessante, un sandwich di granito e rocce sedimentarie), e al secondo giorno camminata fino alla base delle torri - per chi ce la fa e se la sente; per gli altri, solitamente un percorso più semplice, all’interno di un paio di boschi.

Partiamo dunque per Los Cuernos, e una pioggerella leggera ma insistente ci accompagna. La fortuna di portare in giro turisti britannici è che quasi mai si lamentano del tempo, quindi proseguiamo senza problemi, ma anche senza fermarci tanto, il che è un peccato perché alcuni punti meriterebbero un po’ più di calma per essere assaporati. Poi, però, la pioggia sparisce quasi interamente, ma in compenso si leva un forte vento, con raffiche di oltre settanta chilometri orari. Arrivano improvvise, a volte ne senti il ruggito, a volte invece ti sorprendono, e sono forti, tanto che cerchi di ancorarti da qualche parte; poi, repentine come erano arrivate, spariscono.

L’ancoraggio, ovviamente, funziona bene se c’è qualcosa a cui ancorarsi. Ma in un paio di punti, panoramici ma superesposti, le uniche cose di un certo peso intorno a noi sono gli altri membri del gruppo, quindi restiamo per un po’ - inebriati dal vento - agganciati gli uni agli altri, cercando pure di sfidarlo, aprendo le braccia e inclinandoci in avanti, tenuti in piedi dall’aria che ci soffia contro.

Nessun condor si azzarda a volare, oggi: sarebbe un dispendio inutile di energia, loro lo sanno e preferiscono starsene tranquilli nei loro nidi, tanto anche se oggi non mangiano un po’ di animale morto non è che gli si rovini l’alito. Domani, sicuramente, andrà meglio.

E così è: il vento è calato, ormai è quasi solo una brezza, e metà del gruppo si incammina di buon mattino verso la laguna alla base delle torri, un trekking abbastanza duretto di otto ore, tra andata e ritorno. Jacqueline, la nostra guida svizzera, va con loro, mentre io accompagno altri tre lungo il sentiero più facile, e ci va di lusso, ché vediamo un bel paio di falchi e un paio di dozzine di condor, due dei quali ci sorvolano a bassissima quota, tanto che li potremmo quasi toccare, o così almeno ci pare. Il cielo è limpido, il sole splende alto, e al nostro ritorno c’è sempre il fuoco acceso nelle stufe del rifugio a scaldarci. E il vento è un lontano ricordo.


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inserito il 28/02/2015
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