Expedition, giorno 44: Vize/Kumkoy
Il Mar Nero è al mio fianco. Potrei quasi toccarlo con un dito, e sicuramente tuffarmi nelle sue chiare fresche dolci acque (è una citazione, non la verità...). Potrei, se non fosse per un piccolo dettaglio: temo che il mio ortopedico di fiducia (David, uno dei ciclisti di questo tour, l’uomo che mi deve ancora una zuppa per avergli recuperato gli occhiali da bici che aveva scordato in albergo) non me lo permetterebbe. Al momento, è irreperibile: sta pedalando i 167 km di oggi, e finché non arriverà in hotel non potrò chiedergli se posso togliermi lo stretto bendaggio che mi hanno fatto ieri sera in ospedale e, quanto meno, pocciarmi un po’ in acqua.
Già, ospedale: avete letto bene... in hotel, ieri, mentre trasportavo la cassa dei pezzi di ricambio verso il furgone, ho messo il piede su quello che loro chiamano stuoino e che io (ed il dizionario) invece definiamo "grata di ferro" e questa, spostandosi, mi ha fatto perdere l’equilibrio; il mio piede si è inclinato, il muscolo ha dato un tirone per cercare di riportare l’equilibrio nel mondo, e il risultato è stato una fitta acuta e un paio di porchi lanciati nella tranquilla aria turca. David, da dietro la siepe, quando ha capito che la cosa era seria è venuto a verificare, mi ha palpognato il piede ed ha emesso la sentenza: "è rotto". Secco, semplice. Impietoso, pure, ma i fronzoli non servivano.
Con il nostro interprete siamo andati in ospedale, dove un sacco di apprendisti stregoni appena usciti da scuola e l’unico che sembrava essere un dottore laureato si sono riuniti a consulto, più per la curiosità di vedere degli stranieri che per il mio piede, finche il buon australiano ha preso il comando ed ha richiesto i raggi che gli servivano per meditare sul mio futuro. Frattura (piccola e composta, ma sempre frattura) del quinto metatarso, ovvero dell’ossicino a cui è attaccato il mignolo. Una cosa molto comune tra i calciatori, meno tra gli accompagnatori turistici... si vede che faccio statistica. Pare che impiegherà qualche mese a sistemarsi, nel frattempo ho (almeno temporaneamente) una fasciatura strettissima che mi rende simile ad una geisha e qualche problema di deambulazione (Allan, l’altro medico, mi ha prestato la sua stampella, che si era portato essendo anche a lui all’inizio reduce da un problema al ginocchio), oltre a qualche problema logistico: non posso più arrampicarmi sul tetto del furgone per sistemarvi le biciclette (e questa mattina è toccato a Rick, che credo non lo facesse dall’ultima volta che si è tagliato la barba - il fatto che lo paragonino a Babbo Natale dovrebbe darvi una misura temporale della cosa) e non posso ovviamente sollevare pesi; deambulo, e posso trascinare valigie con ruote su superfici piane; soprattutto, spero di essere in grado di poter guidare senza troppo sforzo, dato che dovrei riportare il furgone in Italia tra qualche giorno... David ha detto di aspettare 24 ore, per vedere come andava col dolore, e poi decidere. Io stanotte non ho dormito granché bene, anzi togliamo pure il "bene", ma le pastiglie antidolorifiche prese in ospedale sono riuscite a farmi passare le fitte che mi svegliavano di tanto in tanto, ed ora come detto sono qua, sulla terrazza dell’hotel, col mare che sciaborda laggiù in basso e la gente che si tuffa in piscina, ed io pieno di invidia.
Ma si può? Arrivare fin qui, e poi farsi male in maniera così assurda? Proprio ora che serviva un po’ di agilità... Tutto era andato bene, fino ad ora; ed anche il valico della frontiera, un po’ temuto perché uscivo dall’Unione ed avevo un bel pacco di documenti da far passare al vaglio della dogana turca, nota per la sua amabilità nonché conoscenza delle lingue straniere, era filato quasi completamente liscio, richiedendo solo 90 minuti invece delle paventate ore, e lasciandomi l’amaro in bocca solo per il fatto di non aver ottenuto un timbro sul passaporto ("sei italiano? allora, carta d’identità!" "ma io, veramente, avrei il passaporto, qui, guardi che bella pagina vuota, pronta ad accogliere un timbro turco..." "niet, carta d’identità!"). Anche i clienti non avevano avuto alcun problema, e se le nostre guide si fossero fatte trovare subito fuori dalla dogana (e non invece ad un altro valico, a circa 70 km da questo), tutto sarebbe stato perfetto...
Istanbul è lì, dall’altra parte dell’istmo, a pochi chilometri di distanza... a costo di trascinarmici, voglio andare a vedere i monumenti più importanti, non posso ignorarli a due passi dall’albergo dove finiremo questo lungo, faticoso, interessante tour. La bandiera rossa con la mezzaluna e la stella bianche che garrisce nel vento, in spiaggia, mentre i riflessi del sole si infrangono sulle onde, e la musica che si sente nell’aria, e le chiamate alla preghiera dei muezzin con le loro voci per fortuna mai uguali, e il profumo di spiedini cotti alla brace e i primi avvistamenti di Turkish Delight (vade retro, carie!), tutto parla della città che separa (o fa incontrare, a seconda di come la si vive) l’Europa e l’Asia, e io non voglio, non posso rinunciare ad un tale richiamo. Non qui, a due passi dal Bosforo. Ché manca solo un giorno, ad Istanbul!
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inserito il 27/09/2012
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