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L'Ipocentro del mondo
Il 9 agosto qui non se lo scorderanno mai. Gli americani, decisi a chiudere in fretta la guerra, e dovendo giustificare i milioni di dollari spesi per il progetto Manhattan, lanciarono una seconda bomba atomica su questa città (che, sfiga delle sfighe, non era neppure il bersaglio primario; ma sull'altro era nuvoloso, quindi optarono per la riserva). E la bomba, le cui cicatrici fisiche sono state quasi completamente rimosse (o nascoste), ha lasciato un segno nello spirito e nella psiche della gente del posto.
Comincio la mia visita (Sergio diceva ieri che non è il suo modo di visitare, che non ha bisogno di venire qui per sapere cosa è successo; è vero, anche io forse, ma non potrei capire molto bene restamendone seduto a leggere un libro o a guardare qualche foto) dal Museo della Bomba A: una spirale discendente (i gironi dell'Inferno?) accompagna il visitatore a vedere gli orrori del durante e del dopo, con le ombre degli uomini rimaste sulle pareti delle case e gli oggetti fusi da un calore indicibile, le vite spezzate e quelle incrinate, finché le testimonianze di speranza e di fraternità non riportano lentamente alla luce del giorno.
Vado poi a vedere il museo dedicato ad un dottore, che perse la moglie durante lo scoppio e che, pur distrutto dal dolore e malato di leucemia, impiegò tutti i suoi sforzi per aiutare la gente e per far rinascere la città, cercando di dare un pò di speranza a chi aveva perso anche quella; è fantastico, davvero, perché nello spazio di poche decine di metri quadri si scopre che Nagasaki non è solo cifre spaventose, ma singole vite sbattute dall'energia devastante della bomba.
Il Parco della Pace, nato sulle macerie di una precedente prigione; l'Ipocentro, il punto del suolo immediatamente sotto al luogo della deflagarazione; il Torii con una gamba sola, essendo stata l'altra spazzata via. E poi ancora il monumento ai famosi 26 martiri cattolici, uccisi qui durante il periodo oscurantista (o non-cattolicista, per essere precisi); ed i tanti templi, con influssi cinese e coreani, e i cimiteri che si arrampicano sulle pendici della vallata; ed il Ponte degli Occhiali, detto così a causa del suo riflesso nell'acqua di un fiume tanto pulito che le carpe ed i pesioni rossi vi guizzano felici.
Tornando verso la stazione, ascolto (e registro... questa cosa dei filmini sulla macchina digitale mi prende proprio!) alcuni gruppetti di giovani musicisti all'opera, e trovo un negozio favoloso dove migliaia di fumetti e personaggini di plastica fanno rivivere i migliori anni della mia infanzia :-)
Incontro Yamada-san, questa volta con signora, che mi porta in un ristorante di livello leggerissimamente più alto di quello di ieri (non per la qualità del cibo, sia ben chiaro, ma per il fatto che qui la cravatta sarebbe apprezzata...); discorriamo con qualche difficoltà - lui dev'essere assai stanco e l'inglese non fluisce molto bene -, ma passiamo un buon tempo assieme; mi portano poi a casa loro, per una tazza di tè verde e qualche foto di rito, e poi io e lui raggiungiamo il paesino di Utsutugawa ed il suo "ufficio".
Comincio la mia visita (Sergio diceva ieri che non è il suo modo di visitare, che non ha bisogno di venire qui per sapere cosa è successo; è vero, anche io forse, ma non potrei capire molto bene restamendone seduto a leggere un libro o a guardare qualche foto) dal Museo della Bomba A: una spirale discendente (i gironi dell'Inferno?) accompagna il visitatore a vedere gli orrori del durante e del dopo, con le ombre degli uomini rimaste sulle pareti delle case e gli oggetti fusi da un calore indicibile, le vite spezzate e quelle incrinate, finché le testimonianze di speranza e di fraternità non riportano lentamente alla luce del giorno.
Vado poi a vedere il museo dedicato ad un dottore, che perse la moglie durante lo scoppio e che, pur distrutto dal dolore e malato di leucemia, impiegò tutti i suoi sforzi per aiutare la gente e per far rinascere la città, cercando di dare un pò di speranza a chi aveva perso anche quella; è fantastico, davvero, perché nello spazio di poche decine di metri quadri si scopre che Nagasaki non è solo cifre spaventose, ma singole vite sbattute dall'energia devastante della bomba.
Il Parco della Pace, nato sulle macerie di una precedente prigione; l'Ipocentro, il punto del suolo immediatamente sotto al luogo della deflagarazione; il Torii con una gamba sola, essendo stata l'altra spazzata via. E poi ancora il monumento ai famosi 26 martiri cattolici, uccisi qui durante il periodo oscurantista (o non-cattolicista, per essere precisi); ed i tanti templi, con influssi cinese e coreani, e i cimiteri che si arrampicano sulle pendici della vallata; ed il Ponte degli Occhiali, detto così a causa del suo riflesso nell'acqua di un fiume tanto pulito che le carpe ed i pesioni rossi vi guizzano felici.
Tornando verso la stazione, ascolto (e registro... questa cosa dei filmini sulla macchina digitale mi prende proprio!) alcuni gruppetti di giovani musicisti all'opera, e trovo un negozio favoloso dove migliaia di fumetti e personaggini di plastica fanno rivivere i migliori anni della mia infanzia :-)
Incontro Yamada-san, questa volta con signora, che mi porta in un ristorante di livello leggerissimamente più alto di quello di ieri (non per la qualità del cibo, sia ben chiaro, ma per il fatto che qui la cravatta sarebbe apprezzata...); discorriamo con qualche difficoltà - lui dev'essere assai stanco e l'inglese non fluisce molto bene -, ma passiamo un buon tempo assieme; mi portano poi a casa loro, per una tazza di tè verde e qualche foto di rito, e poi io e lui raggiungiamo il paesino di Utsutugawa ed il suo "ufficio".
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inserito il 03/04/2004
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