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Tentando la fortuna in Belize

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Da Bacalar raggiungo Chetumal, e dal mercato nuovo di Chetumal prendo un vecchio bus scolastico statunitense che mi porta fino alla frontiera con il Belize. Le formalità sono risolte in un attimo (e non devo, ovviamente, pagare una di quelle solite strane tasse di uscita che in molti si trovano di fronte specie quando non parlano un'acca delle lingue locali) e il bus mi trasporta fino ad Orange Walk, mentre ascolto per un pò lo strano mix di inglese e spagnolo con accento anch'esso bizzarro che usano i beliziani per parlare e poi, preso coraggio, mi butto e comincio a fare qualche domanda su luoghi e situazioni (ci sono zone del paese in cui non è proprio sano aggirarsi di notte, e preferisco conoscerle prima che dopo); le notizie che ricevo sono abbastanza tranquillizzanti, appena riesco a capire quello che mi dicono...

In città scopro che il bus che pensavo esistesse l'indomani per raggiungere Indian Church in realtà funziona solo al lunedì ed al venerdì, ovvero sono un pò nella merda; non dispero, e parlando con un pò di autisti di questi vecchi bus americani scopro che verso le quattro partono dei mezzi per Shipyard e, da là, dovrei riuscire a trovare un passaggio per la mia destinazione. Il fatto è che non voglio prendere uno dei tour organizzati con trasporto in motoscafo via fiume per raggiungere Lamanai, forse il secondo sito archeologico più interessante del paese, e non tanto per il costo che potrebbe pure starci ma per il fatto che questi tour solitamente ti danno tempi molto contingentati per fare tutto, e a me piace divagare se trovo che ne valga la pena... mangio il piatto nazionale, ovvero pollo con riso e fagioli e banane fritte, e mi scolo un buon bicchiere di orchata (fino a qui, niente di differente dal Messico, se non per l'assenza di tortillas... ma ne vedo un negozio per strada, quindi volendo uno si può organizzare), poi aspetto. Il bus parte puntuale, si carica studenti che tornano a casa tutti con le loro belle uniformi, le ragazze con la gonna ed i maschietti in camicia, e poi via verso l'ignoto. Esco ed entro da una sonnolenza che mi fa perdere gran parte del panorama, ma quando il bus si svuota e noi attraversiamo le zone in cui vivono alcune comunità di Mennoniti apro per bene gli occhi perché mi incuriosiscono sempre questi personaggi che girano su carretti trainati da cavalli e indossano un cappello e salopette blu scuro o vestiti con gonna fino ai calcagni (maschi e femmine, rispettivamente, ovviamente) e che sono giunti qui decenni fa quando han dovuto lasciare il Canada in cui si erano rifugiati e cercare nuove terre sicure in cui poter vivere tranquillamente nel loro modo senza doversi e volersi mischiare con i locali.

Arriviamo a quella che sembra un'incrocio tra un'officina, uno spaccio ed una pompa di benzina; gli autisti si fermano lì per la notte (ripartiranno all'alba per riportare i ragazzi a scuola), ma mi trovano un passaggio per Indian Church con un tipo con un furgone e una scatola contenente due cocorite che ha preso in città per la figlia.
Nel villaggio, mi alloggio nell'unica guesthouse disponibile, che per pura combinazione appartiene alla madre del tipo, e che mi concede uno sconticino dato che mi fermerò due notti. La notte è arrivata, il generatore fornirà luce solo per qualche ora, quindi mi chiudo in camera, lavo e poi - dopo aver visto un paio di puntate di Life on Mars sul netbook (non essendoci altro da fare, e non avendo libri interessanti da leggere con me) - mi metto a dormire. La pioggia arriva dopo poco, ma è l'unico rumore che si sente nella notte, ché qua pare che anche i cani di notte riposino.

Arriva il mattino, e salto su come un grillo per affrontare le poche centinaia di metri che mi dividono dall'ingresso del sito archeologico. Hanno aperto da poco, e mi consigliano l'itinerario migliore nelle ore che ho a disposizione prima dell'arrivo delle barche lungo il fiume, che rigurgiteranno non solo quelli che han dormito ad Orange Walk ma, a quanto pare, anche dei gruppi in visita da una nave da crociera ferma al porto di Belize City.

I punti da visitare sono solo cinque, ma alcuni sono davvero speciali grazie a dei mascheroni giganteschi, a delle riproduzioni stilizzate di musi di giaguari, e poi all'High Temple, a quanto pare la seconda costruzione Maya più alta di tutto il Belize. Non so quanti metri sono, ma sicuramente la cima mangerebbe in testa a quella di Cobà, e scacciato l'avvoltoio che stava lassù mi ci siedo e godo il sole e la vista infinita sulla foresta e sul fiume, finché non vedo spuntare i primi motoscafi. Allora scendo, me ne vado al museo, leggo le interessanti spiegazioni sul sito e sui Maya in generale e, poi, rifaccio il giro di prima, ascoltando qua e là spiegazioni delle varie guide (reincontro anche quella a cui ho chiesto ieri informazioni, arrivata a mezzogiorno!.. avrei perso tutta la mattina) e scansando la pioggia che ha cominciato a cadere, nel frattempo.

Torno verso il villaggio solo dopo mezzogiorno, fermandomi però a pranzare in uno dei due ristorantini gestiti da cooperative di donne che si danno il turno di settimana in settimana; riesco a farmi fare un paio di empanadas, ma per il resto vince ancora il piatto nazionale. Arrivato in stanza mi corico (che parola desueta!) e ronfo per qualche ora, poi mi doccio e vado a cercare la padrona di casa per pagare la stanza e la trovo al secondo ristorante, dove con un buon frullato di banana e cioccolato davanti parlo un pò della vita del villaggio con una signora molto curiosa delle mie visite a Roma e se ho visto o meno il Papa.

È di nuovo notte, la pioggia sta arrivando, e torno in stanza, dove finisco di vedere le due ultime puntate di Life on Mars (e finalmente scopro la verità su Sam) e poi scrivo questo mio diario, almeno finché il generatore è in funzione... la partenza di domani è alle 4, quindi meglio dormirci su.


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inserito il 01/02/2012
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