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Que viva la buròcrazia!

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Certe distanze, qui in Messico, sono davvero grandi. Lo sapevamo, ma capiamo veramente cosa significhi durante il tragitto di 10 ore che porta noi ed i nostri sederi ormai squadrati fino a San Cristobal de las Casas, capitale turistica se non più amministrativa del Chiapas. Una città molto bella, che anche solo al primo sguardo serale che le concediamo, con le sue stradine lastricate in parte in pietra ed in parte in cemento sagomato come le pietre che ha sostituito, con le sue case coloniali colorate spesso a tinte vivaci, con il suo immancabile parco con l’immancabile gazebo da cui un’orchestra suona mentre coppiette danzano e nella piazza della cattedrale si svolge un mercato notturno al chiaro di torcia elettrica, ci affascina. Qualche problema con l’hotel, dove interpretano un po’ liberamente la parola tripla e propongono a me ed altre due persone una stanza con due letti, da condividere; faccio notare che non è rispettoso per i nostri viaggiatori, ed alla fine ci propongono una sistemazione per una persona in un altra struttura; la offro a Giuliana, unica donna del trio, ma lei rifiuta, ed allora ci vado io, trovandoci un miniappartamento (vedi ad essere gentili, a volte...). Victor ci porta in un ristorantino di sua conoscenza, vicino alla chiesa di Santo Domingo, dove mangiamo veramente bene (sempre per cifre che in Italia sarebbero abbastanza irrisorie) allietati, ma anche in parte disturbati, da un paio di suonatori di marimba, che instancabilmente picchiano le loro bacchette sui tasti di legno del grande xilofono.
Il mattino dopo saliamo su un nuovo pullmino (quello di Yoni è a far sistemare alcune cose, San Cristobal essendo anche la sede della compagnia MexicaTour che ha organizzato il viaggio assieme a Vagabondo) e raggiungiamo il villaggio di San Juan Chamula, dove l’etnia Tzotzil vive tranquillamente la sua vita di campagna inframezzandola con strani riti mesomaericani, specialmente nella chiesa principale: il pavimento cosparso di aghi di pino a simboleggiare il contatto con la terra, centinaia di candele accese in ogni dove, assenza di banchi ed altari, l’abside che ospita un enorme presepe nel quale statue e statuine sono circondate da luci e lucine sequenziate che fanno un enorme contrasto con la semioscurità del resto della chiesta; dicono che ci facciano riti propiziatori in cui dei polli fanno una brutta fine, là dentro, ma noi non ne vediamo traccia alcuna. C’è però un misticismo strano qui, e la popolazione ne sembra molto gelosa, al punto che si riportano alcuni eventi anche gravi in cui sono stati coinvolti turisti poco rispettosi delle leggi locali; ché qui la giustizia si amministra localmente, e lo Stato sembra chiudere un occhio e forse a volte anche tutti e due. Girovaghiamo per il mercato, poi ripartiamo per Zinacantàn, dove vediamo la chiesa e visitiamo la casa di uno dei benemeriti del villaggio, che ha raggiunto tale livello dopo essersi occupato di tutti gli incarichi che, a rotazione, vengono assegnati ai vari membri facoltosi della comunità (e facoltosi devono esserlo, perché il solo organizzare le feste per i santi locali certo influisce molto sulle loro finanze); ora, non senza cercare di vendere qualche prodotto di artigianato, permette la visita di parte delle propria abitazione, dove si possono vedere la cucina con i prodotti tipici e il presepe incredibilmente kitsch.
Fatto ritorno in città, ne visitiamo la parte turistica, ma quando Francesco quasi subito si perde in mezzo alle strade piene di locali e stranieri il resto della sua famiglia decide di andare a cercarlo, mentre Victor conduce i restanti all’interno del labirintico mercato e lungo stradine soleggiate, mostrandoci i vari stili architettonici che si sono susseguiti a San Cristobal. Qualche nube oscura il cielo, sono le prime che vediamo da che siamo in questo Paese, e cadono persino un paio di gocce di pioggia, ma ben presto tutto ritorna come prima, soleggiato e caldo.
Anche qui, come in molti altri posti, la chiesa di Santo Domingo è la più decorata, a dimostrazione che i dominicani avevano probabilmente più ricchezza degli altri ordini religiosi; ma la più visitata resta la cattedrale, che sovrasta con i suoi ocra e gialli e rossi la grande piazza dove il mercato si svolge solo di notte, mentre il giorno lascia spazio a ballerini, tipi vestiti da pappagallo, cantanti e persone, tante persone.
Ritrovato Francesco, dopo cena Victor ci porta a visitare una sorta di centro sociale, dove si sta tenendo una sorta di festa (sì, mi rendo ben conto di aver usato la parola "sorta" due volte nella stessa frase, ma la situazione è fumosa come l’atmosfera che vi troviamo); dopo un po’ quasi tutto ce ne andiamo, restano i tre ragazzi della famigliola affascinati dallo stile di vita freak che vi si respira, alcuni vanno a dormire e Giuseppe ed io ci concediamo una puntata al Revoluciòn, locale alla moda dove gustiamo un concerto e - meno - una birra Indio, forse la peggiore che abbiamo provato fino ad ora.
Manca poco a Capodanno, e con l’aiuto di Victor proviamo ad andare a visitare la comunità zapatista di Oventik, forse il centro politico della zona - per quanto riguarda gli oppositori allo stato, si intende. Come in molte cose ammantate di comunismo, anche qui la burocrazia la fa da padrona: arrivati al cancello, dobbiamo chiedere il permesso alle guardie coperte da passamontagna neri, che poi vanno a chiedere il permesso al loro capo, che viene al cancello e chi chiede nomi e altre informazioni - professione, simpatie ecc. - per poi tornarsene a richiedere alla "Comision politica" l’autorizzazione alla visita... il tempo passa, e qualcuno sta per stufarsi, ma le intercessioni di Victor (certo più dei 250 pesos che abbiamo offerto "volontariamente") ci fanno finalmente ottenere il permesso di entrare e veniamo accompagnati da alcuni uomini mascherati lungo un pezzo della strada di cemento che porta al campo principale, dove vediamo dei giovani giocare a basket e pallavolo. Niente foto di persone, né di mezzi di trasporto, e poche parole da parte della nostra scorta rendono la cosa abbastanza noiosa, ma del resto ci era stato detto preventivamente: gli zapatisti, e quelli di qua in particolare, hanno cessato di essere molto interessati alla condivisione di nozioni e all’incontro di persone straniere, e si stanno lentamente convertendo in una società più chiusa in sé stessa e attenta ai propri bisogni interni. Lo Stato sembra saperlo, e forse ne trae persino vantaggio, tanto che non è più un problema permetter loro l’uso "a scrocco" di luce ed acqua (che sarebbero le prime cose da tagliare, se proprio ci fosse l’intenzione di dargli quantomeno fastidio).
Forse un po’ delusi, ce ne andiamo, visitando altre due comunità, compresa quella di San Andrés Larráinzar, dove invece si è raggiunta una sorta di equilibrio tra la popolazione fedele allo Stato e quella fedele alla causa zapatista: due amministrazioni comunali, che in qualche modo cooperano per cercare di realizzare quanto serve alla comunità, anche se il contrasto tra chi ha un bell’edificio in cemento nella piazza principale e chi invece si riunisce in una casa di fango decorata da murali rivoluzionari è, ancora, forte.
Purtroppo, la stanchezza di alcuni e forse anche il disagio nel trovarsi di fronte a situazioni che non si erano previste fa sì che accorciamo la visita, tornando prima in città, dove passiamo qualche ora ognuno visitando quello che preferisce vedere; io riesco finalmente a contattare casa (il problema della differenza di fuso orario non è indifferente), e poi parlo un po’ con Sergio, il proprietario della MexicaTour, per vedere di risolvere alcuni dettagli per il proseguio del viaggio.
Ceniamo poi tutti assieme nello stesso locale della sera prima, il TierrAdentro, che offre buon cibo e buona musica nell’enorme patio centrale, ma consci della nuova partenza molto presto domattina decidiamo di non tirarla troppo per le lunghe e ce ne andiamo (quasi tutti) a dormire.


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inserito il 30/12/2011
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