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Leaving on a jet plane
Ultimi giorni di viaggio, e raggiungo Caracas.
Apparentemente, la capitale meno desiderata di questo sudcontinente americano: tutti te lo dicono, quando li incontri, che hanno fatto in modo di passarci solo poche ore, o che - se vi ci si sono fermati - hanno subito qualche contrattempo più o meno grave e non hanno visto niente di interessante. Io, per seguire il naso di San Tommaso, provo ad andarci (tanto più che il volo che mi riporteràa a casa parte proprio dall'aeroporto cittadino...).
L'esperienza conferma le anticipazioni: a parte che è difficilissimo trovare un luogo abbastanza sicuro per ospitarsi che non ti chieda di accendere un mutuo (io, alla fine, capito nel quartiere di Sabana Grande, dove però la maggior parte degli alberghetti servono da ritrovo complice per le coppiette in cerca di un nido d'amore; solo al secondo giorno riuscirò a non pagare gli extra per specchi, musica di sottofondo, jacuzzi etc.), non c'èe davvero molto di interessante da vedere. Solo una moltitudine di luoghi connessi in qualche modo con la vita e le opere dell'eroe nazionale (Simon Bolivar, per chi si fosse distratto durante i precedenti racconti), dalla sua casa natale al luogo in cui è sepolto (un Pantheon che accoglie, nelle navate laterali, altri celebri cittadini, nonché i sepolcri vuoti di Sucre e Miranda), dalle tombe della sua famiglia (dove un'altra statua del libertador sembra chiedersi affranta perché lo hanno voluto spostare) al luogo in cui comprava le prime figurine di calcio, e via dicendo... e poi qualche chiesa, qualche palazzo, qualche museo... ma, mentre la gente si aggira sospetta o circospetta (o tutt'e due) per le strade, non posso fare a meno di chiedermi come tutti se non sarebbe ora di investire i proventi del petrolio in qualcosa di buono per il Paese, finalmente, invece che nella costruzione di una nuova fabbrica di kalashnikov...
Nel piccolo sobborgo del Huesillo vado a cercare qualche souvenir da portare a casa, ma trovo solo molte copie di oggetti già visti in altri Paesi (ad un prezzo di molto maggiore), e produzioni locali che non hanno nulla da invidiare ai cavallini di vetro che impazzano a Venezia isole comprese... non c'èe davvero niente d'utile, e una statua di legno alta 130 centimetri del libertador penso che mia madre la butterebbe direttamente nel caminetto... meglio lasciar perdere, e puntare tutte le speranze sul duty-free dell'aeroporto
Vado al cine, non riesco a stare prigioniero delle 4 mura dell'albergo: ridotto al massimo il quantitativo di monete nelle mie tasche non dovrei più correre pericolo, e m'aggiro per le strade annacquate da qualche pioggerella e stordite dall'enorme quantitàa di bancherelle che vendono ogni cosa, soprattutto scarpe (non lo sa nessuno il perché, ma pare che i venezuelani siano appassionati di scarpe, e se vedeste la quantità dei negozi dove procurarsele ve ne rendereste subito conto).
E poi arriva il giorno in cui lascio questa parte dell'Atlantico. Seguo il consiglio di molti, parto molto presto per raggiungere l'aeroporto perché da quando il viadotto sulla strada è crollato sono più quelli che perdono il loro volo per ritardi dovuti al traffico che quelli che arrivano a destinazione. Ovviamente, il mio bus in un'ora arriva al terminal, e io passo il tempo dell'attesa facendo shopping (più per gli altri, che per me: alcuni lavoratori dell'aeroporto mi chiedono se posso gentilmente acquistare per loro alcune cose non tassate, e in cambio mi regalano dei dolcetti alla guayaba... come si può rinunciare ad una richiesta così dolce?), guardando gli aerei decollare, pensando all'Italia che in poche ore saràa più vicina di quanto lo sia stata negli ultimi 30 mesi...
Poi, il decollo.
Apparentemente, la capitale meno desiderata di questo sudcontinente americano: tutti te lo dicono, quando li incontri, che hanno fatto in modo di passarci solo poche ore, o che - se vi ci si sono fermati - hanno subito qualche contrattempo più o meno grave e non hanno visto niente di interessante. Io, per seguire il naso di San Tommaso, provo ad andarci (tanto più che il volo che mi riporteràa a casa parte proprio dall'aeroporto cittadino...).
L'esperienza conferma le anticipazioni: a parte che è difficilissimo trovare un luogo abbastanza sicuro per ospitarsi che non ti chieda di accendere un mutuo (io, alla fine, capito nel quartiere di Sabana Grande, dove però la maggior parte degli alberghetti servono da ritrovo complice per le coppiette in cerca di un nido d'amore; solo al secondo giorno riuscirò a non pagare gli extra per specchi, musica di sottofondo, jacuzzi etc.), non c'èe davvero molto di interessante da vedere. Solo una moltitudine di luoghi connessi in qualche modo con la vita e le opere dell'eroe nazionale (Simon Bolivar, per chi si fosse distratto durante i precedenti racconti), dalla sua casa natale al luogo in cui è sepolto (un Pantheon che accoglie, nelle navate laterali, altri celebri cittadini, nonché i sepolcri vuoti di Sucre e Miranda), dalle tombe della sua famiglia (dove un'altra statua del libertador sembra chiedersi affranta perché lo hanno voluto spostare) al luogo in cui comprava le prime figurine di calcio, e via dicendo... e poi qualche chiesa, qualche palazzo, qualche museo... ma, mentre la gente si aggira sospetta o circospetta (o tutt'e due) per le strade, non posso fare a meno di chiedermi come tutti se non sarebbe ora di investire i proventi del petrolio in qualcosa di buono per il Paese, finalmente, invece che nella costruzione di una nuova fabbrica di kalashnikov...
Nel piccolo sobborgo del Huesillo vado a cercare qualche souvenir da portare a casa, ma trovo solo molte copie di oggetti già visti in altri Paesi (ad un prezzo di molto maggiore), e produzioni locali che non hanno nulla da invidiare ai cavallini di vetro che impazzano a Venezia isole comprese... non c'èe davvero niente d'utile, e una statua di legno alta 130 centimetri del libertador penso che mia madre la butterebbe direttamente nel caminetto... meglio lasciar perdere, e puntare tutte le speranze sul duty-free dell'aeroporto
Vado al cine, non riesco a stare prigioniero delle 4 mura dell'albergo: ridotto al massimo il quantitativo di monete nelle mie tasche non dovrei più correre pericolo, e m'aggiro per le strade annacquate da qualche pioggerella e stordite dall'enorme quantitàa di bancherelle che vendono ogni cosa, soprattutto scarpe (non lo sa nessuno il perché, ma pare che i venezuelani siano appassionati di scarpe, e se vedeste la quantità dei negozi dove procurarsele ve ne rendereste subito conto).
E poi arriva il giorno in cui lascio questa parte dell'Atlantico. Seguo il consiglio di molti, parto molto presto per raggiungere l'aeroporto perché da quando il viadotto sulla strada è crollato sono più quelli che perdono il loro volo per ritardi dovuti al traffico che quelli che arrivano a destinazione. Ovviamente, il mio bus in un'ora arriva al terminal, e io passo il tempo dell'attesa facendo shopping (più per gli altri, che per me: alcuni lavoratori dell'aeroporto mi chiedono se posso gentilmente acquistare per loro alcune cose non tassate, e in cambio mi regalano dei dolcetti alla guayaba... come si può rinunciare ad una richiesta così dolce?), guardando gli aerei decollare, pensando all'Italia che in poche ore saràa più vicina di quanto lo sia stata negli ultimi 30 mesi...
Poi, il decollo.
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inserito il 31/05/2006
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