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Come ti rovino la piramide più grande del mondo

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Il titolo di questo racconto, in omaggio al cibo tipico locale, avrebbe dovuto essere "O mole mio"; ma, a causa dell'ennesima idiozia compiuta dai conquistadores spagnoli, parla invece di figure geometriche... ma andiamo con ordine!

Partito dalla capitale, con un bus di buona qualità sono arrivato a Puebla de los Angeles, capitale dell'omonimo stato, che deve il suo nome ai soliti angeli che hanno mostrato al solito prete dove fondare una città (in realtà la storia è insolita, in quanto normalmente in Messico le nuove città sorgevano in corrispondenza di vecchi insediamenti pre-ispanici). Una cittadina che già dalle prime avvisaglie si mostra molto carina, con il centro che ricorda assai quello di San Cristobal de las Casas con i suoi edifici colorati in stile coloniale, e con uno zocalo che è davvero un cuore pulsante di vita, pieno com'è di persone e soprattutto ragazzi che vi intrattengono le loro relazioni sociali o che, più semplicemente, siedono sulle panchine ad osservare il mondo che gira loro intorno.
Un pò quello che faccio io, anche perché per un problema tecnico Nyddia, la tipa di CS che mi ospiterà durante il mio soggiorno qui, non mi ha ancora fatto avere il suo indirizzo; per fortuna, nella piazza c'è una sorta di wi-fi gratuito (sparisce ogni tanto, di solito quando stai premendo il tasto INVIO, ma per il resto funziona), così riesco a comunicare con lei e a sapere che abita un pò fuori, nell'un tempo staccata ed ora inglobata Cholula, e come fare per arrivarvi. Ma ho tempo, quindi con lo zaino in spalla giro per la città, munito di una buona mappa e puntando a tutti i luoghi che posso visitare senza far disastri dato l'ingombro. Vedo la Casa dei Pupazzi, detta così perché il tipo che la costruì, volendosi vendicare per un contenzioso con l'amministrazione locale, ne fece decorare la facciata con maioliche che riproducono in modo comico le fattezze dei suoi avversari, e la grande Cattedrale, oltre a tutta una serie di edifici anch'essi con le loro brave piastrelle a decorarne i muri (la ceramiche è un prodotto tipico, da queste parti...). Passo poi decine di minuti con naso all'insù nella Cappella del Rosario, parte della per il resto meno interessante chiesa di Santo Domingo: decorata fino all'inverosimile con stucchi dorati, che riproducono dagli indios agli angeli fino ai padri della Chiesa, sembra voler essere una risposta all'"horror vacui" che evidentemente tanto impensieriva la gente di quel tempo; nel sole del tramonto, che filtra attraverso le finestre, sembra di trovarsi all'interno di un forziere pieno d'oro, tanto tutto luccica e sberluccica.

Raggiungere Cholula non è impossibile, ma si tratta comunque di impresa non facile, dovendosi destreggiare al buio per capire quale microbus prendere e dove scendere. Alla fine, però, ce la facciamo, e riesco ad incontrare Nyddia e la piccola figlia Aruka (per gli amici, Aru) che mi portano a casa loro. Vivono in uno di quei settori chiusi al resto da filo spinato e muri, con guardiano al cancello e piscina per i condomini, che avevo già visto in Perù ad Arequipa anni fa. Per proteggersi da cosa, esattamente, non lo capisco, perché Nyddia per tre giorni continuerà a ripetermi che la cittadina è davvero tranquilla... mah! Ad entrare nel giardinetto, circondato com'è da pareti di cemento alte almeno quattro metri sulle quali poi troneggia un'ulteriore recinzione, sembra proprio di trovarsi in carcere. Oltre alle due umane, mi danno il benvenuto anche due gatti e un furetto, tutti molto accoglienti e strusciosi (specie il furetto, che però emanando il terribile odore che gli è naturale non si guadagna le stesse coccole dei felini... spiacente, ma a tutto c'è un limite). Mangiamo delle enchiladas al formaggio, poi un dolce fatto di crema e mele ed ananas, mentre chiacchieriamo con la piccola Aru che continua a fare domande curiose su di me ed il mio viaggio.

La mattina dopo, approfitto del fatto che sono già in zona per raggiungere a piedi la più grande piramide del mondo, o almeno quello che ne resta: nella sua furia devastatrice, Fernando Cortez decise di spianare tutto quello che poteva dei templi che trovava, costruendoci sopra delle chiese. E così Cholula, che prima rivaleggiava con Teotihuacan, ora si ritrova con un'enorme collina dalla quale affiorano solo parti di quello che doveva essere qualcosa di grandioso, e su cui troneggia una simpatica chiesetta colorata. Purtroppo, l'attrazione principale è chiusa, a causa di un crollo di un paio d'anni fa e dell'inerzia successiva di chi doveva provvedere: qualche chilometro di tunnel interni alla piramide, che permettevano di vedere tra l'altro la tecnica costruttiva con cui edifici successivi si sovrapponevano gli uni agli altri.

Salto poi su un furgoncino ed arrivo a Tonantzintla, dove la chiesa di Santa Maria è qualcosa di spettacolare: non c'è un centimetro quadro lasciato libero da decorazioni, in uno stile che da barocco diventa "churriguerresco", mescolando l'immaginario cattolico con la tradizione indigena. E qui, botta di culo: arriva una processione accompagnata dalla banda, e mi trovo in mezzo ad una cerimonia per il cambio di "mayordomia", quella pratica di assumersi pubblicamente incarichi comunitari di cui avevo già sentito parlare in Chiapas. Mi accodo, seguo la messa e le varie benedizioni, poi la processione intorno al recinto della chiesa mentre i musici musicano e i petardari fanno partire decine di razzi scoppiettanti verso il cielo, e poi di nuovo nella chiesa. In realtà, starei aspettando il momento in cui ci si abbuffa, essendo stato invitato al banchetto; però, dopo due ore e mezza di attesa, quando ancora tutti non sembrano voler lasciare la chiesa, abbandono il gruppo andando a mangiarmi un paio di empanadas in un ristorantino nei pressi, e poi cammino a piedi il chilometro che mi separa da San Francisco Atepec, dove una chiesa leggermente meno decorata attrae comunque il suo bel numero di visitatori (e, rispetto alla precedente, si possono scattare foto all'interno).

Ritorno a Puebla, dove avremmo dovuto incontrarci con Nyddia, ma lei mi avverte che la figlia ha troppi compiti per casa e quindi che dobbiamo rimandare al giorno successivo, così mi infilo in un cinema a vedere il nuovo film di Sherlock Holmes (che mi piace un sacco: questo è davvero cinema, con una storia che regge fino alla fine, bravi interpreti, belle riprese e effetti sapientemente dosati!) prima di tornare a Cholula.

L'appuntamento è solo rimandato, però: il giorno successivo, tra un passaggio e l'altro per lo zocalo per connettermi ad internet (riesco anche a fare una conversazione via skype con la mia nipotina Anna, mediata da sua madre "ché se no non finiremmo mai"), vado a zonzo per le strade della città, visito la cattedrale (che dopo le altre chiese mi appare estremamente spoglia) e poi il museo Amparo con la sua interessante collezione pre-ispanica molto ben accompagnata da illustrazioni che spiegano varie cose delle civiltà originali del Paese, e poi vado nella zona del teatro comunale, dove vari suonatori allietano il tempo degli avventori dei baretti e un gruppetto di giovani ballerini mette in scena alcuni pezzi di musical. Lì mi raggiunge Nyddia, e giriamo per il centro finché non troviamo un ristorantino dove provare una delle specialità locali: chiles en nogada, ovvero peperoni ripieni di carne macinata e mandorle in salsa dolce a base di nocciole macinate con decorazione di chicchi di melograno, e i cui colori rappresentano la bandiera messicana... yummi yummi! Aru stasera non c'è, passa la serata dai nonni, quindi possiamo permetterci di stare fuori a camminare e parlare un bel po', finché stanchi si torna a casa, ché domani tanto per cambiare parto presto...


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inserito il 13/01/2012
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