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Tra le corone di Spagna e Portogallo
Lasciata di buon mattino Buenos Aires, aprofittando di un passaggio gentilmente offerto da Carolina (la quale si è occupata anche di spedire il paccone con le mie cianfrusaglie a casa... grazie, Carol!), mi sono imbarcato sul traghettone della BuqueBus che fa la spola tra la capitale argentina e le due città principali dell'Uruguay, sulla sponda opposta dell'incrocio di fiumi che qui continuano a chiamare Rio della Plata.
3 ore di navigazione sotto un sole abbronzante ed arrivo a Colonia, città dallo sotrico passato e dal turistico presente. La città, fondata dai portoghesi, fu oggetto di lunga contesa tra questi e gli spagnoli, che alla fine la ottennero; restano, di questi due regni vicini ma spesso nemici, spoglie e dettagli artistici e architettonici riconoscibilissimi (uno fra tutti: le strade con una canaletta unica di scolo al centro quelle portoghesi, e due canalette ai lati quelle spagnole).
È bella, Colonia, con le sue stradine acciottolate, i suoi resti di muraglie, la porta con ponte levatoio, i molti piccolissimi musei che li visiti tutti con un biglietto unico quasi regalato: il primo giorno lo passo a vagare per le decine di vicoli, ad osservare come l'atmosfera tranquilla si rispecchia nelle facce degli abitanti, a perdermi negli arancioni del tramonto stupendo sul fiume (di tramonti ne ho visti molti, alcuni spettacolari, ma credo che sia la prima volta che ne osservo uno così bello su di un fiume... certo, questo fiume è tanto ampio che sembre un mare, con le sue onde e i suoi isolotti e le imbarcazioni che passano in lontananza...).
Il giorno seguente prendo una delle biciclette dell'ostello e me ne vado fino a San Carlos, dove mi intrufolo all'interno della ormai cadente Plaza de Toros (qui all'inizio del secolo scorso di facevano corride, per il piacere dei turisti argentini, fino a che non vennero vietate), la unica che forse visiterò in vita mia, e visito il vecchi Gran Hotel ora trasformato in politecnico universitario; e il pomeriggio vado in spiaggia, ma mi sbaglio di strada e devo attraversare con la bici cespugli spinosi e persino un canale profondo un metro per raggiungere la sabbia bianca sulla quale mi getto a dormire. La sera, porto una ragazza giapponese di Osaka, mia compagna di camera nell'ostello, a vedere il tramonto e poi andiamo ad assistere allo spettacolo di Sons et Lumieres della chiesa principale (in realtà, niente di speciale) e a mangiare un "chivito", il tipico piatto Uruguagio: nonostante il nome, traducibile come "capretto", è in realtà uan sorta di sandwich di carne bovina con verdure e formaggio e uovo e... un monte di patate fritte in cima, che lo nascondono alla vista dell'affamato cliente.
3 ore di navigazione sotto un sole abbronzante ed arrivo a Colonia, città dallo sotrico passato e dal turistico presente. La città, fondata dai portoghesi, fu oggetto di lunga contesa tra questi e gli spagnoli, che alla fine la ottennero; restano, di questi due regni vicini ma spesso nemici, spoglie e dettagli artistici e architettonici riconoscibilissimi (uno fra tutti: le strade con una canaletta unica di scolo al centro quelle portoghesi, e due canalette ai lati quelle spagnole).
È bella, Colonia, con le sue stradine acciottolate, i suoi resti di muraglie, la porta con ponte levatoio, i molti piccolissimi musei che li visiti tutti con un biglietto unico quasi regalato: il primo giorno lo passo a vagare per le decine di vicoli, ad osservare come l'atmosfera tranquilla si rispecchia nelle facce degli abitanti, a perdermi negli arancioni del tramonto stupendo sul fiume (di tramonti ne ho visti molti, alcuni spettacolari, ma credo che sia la prima volta che ne osservo uno così bello su di un fiume... certo, questo fiume è tanto ampio che sembre un mare, con le sue onde e i suoi isolotti e le imbarcazioni che passano in lontananza...).
Il giorno seguente prendo una delle biciclette dell'ostello e me ne vado fino a San Carlos, dove mi intrufolo all'interno della ormai cadente Plaza de Toros (qui all'inizio del secolo scorso di facevano corride, per il piacere dei turisti argentini, fino a che non vennero vietate), la unica che forse visiterò in vita mia, e visito il vecchi Gran Hotel ora trasformato in politecnico universitario; e il pomeriggio vado in spiaggia, ma mi sbaglio di strada e devo attraversare con la bici cespugli spinosi e persino un canale profondo un metro per raggiungere la sabbia bianca sulla quale mi getto a dormire. La sera, porto una ragazza giapponese di Osaka, mia compagna di camera nell'ostello, a vedere il tramonto e poi andiamo ad assistere allo spettacolo di Sons et Lumieres della chiesa principale (in realtà, niente di speciale) e a mangiare un "chivito", il tipico piatto Uruguagio: nonostante il nome, traducibile come "capretto", è in realtà uan sorta di sandwich di carne bovina con verdure e formaggio e uovo e... un monte di patate fritte in cima, che lo nascondono alla vista dell'affamato cliente.
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inserito il 11/02/2006
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