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Habemus plata(m)!
Dopo un paio di giorni tranquilli a Uyuni ("figlia amatissima della patria"!), dove il massimo impegno era quello di decidere quale delicatezza boliviana mangiare per cena o quello di discorrere di gastronomia (hei, ma è una fissa) con il guardiano di una deliziosa serra "nascosta" in mezzo alla nuova piazza comunale, o persino quello di intrufolarsi nel cortile di una scuola per osservare le lezioni di musica che si svolgono all'aperto a causa dell'assenza di un auditorio atto, ho preso un bussetto e mi sono spostato a Moria. Ops, a Potosì.
La citazione tolkieniana, sfuggitami volontariamente, è dovuta al fatto che il mondo visita Potosì per visitare le miniere dove migliaia di uomini, donne ed anche bambini si infilano in tunnel spesso non più alti di un metro per scavare e cercare di racimolare i resti dei minerali non già entrati nelle tasche degli spagnoli in circa mezzo millennio (da tanto il "cerro rico" di Potosì sta elargendo minerali preziosi e non, soprattutto argento).
Potosì, che di questa ricchezza ha goduto a lungo, è ora una città ricca di palazzi antichi, con portoni di pietra e legno lavorato, con chiese che fuori non sono male ma dentro sono ricche e tempestate di decorazioni pittoriche e laccate, con la gente che - a parte qualche povero, per strada - sembra stare abbastanza bene, se confrontata con quanto visto fino ad ora. Potosì la grande, con i suoi più di 140000 abitanti (ma ci sono stati tempi in cui ce n'erano di più, mentre Parigi e Londra si fermavano a 60000!) tutti arroccati intorno a questa montagna magica. Potosì la alta, se si considera che si trova a più di 4000 metri di altezza (e te ne accorgi, quando il respiro a volte si fa affannoso anche se credi di esserti acclimatato). Potosì la musicale, con bande che percorrono le strade ogni giorno per festeggiare i vari istituti scolastici (perché ora? Mah, nessuno mi ha saputo dare una valida ragione), e con la gente che al lunedì mattina alle 8 in punto si blocca sui due piedi per ascoltare l'inno nazionale suonato dall'esercito.
E, poi, dall'altra parte c'è Moria. Ti danno la giacca ed i pantaloni, gli stivali ed il caschetto, e con la tua torcia elettrica in testa ti senti pronto a tutto. Sosta al mercato, per acquistare qualche regalo per i minatori a cui vai a rompere le scatole (normalmente, foglie di coca da masticare per anestetizzarsi e dinamite - con miccia e tutto il resto - per aprirsi nuovi varchi), e poi raggiungi l'ingresso della miniera. E lì cominci ad inchinarti. Non tanto e non solo per passare attraverso gli stretti varchi (avrei dovuto chiedere uno sconto!), ma soprattutto alla forza di volontà che porta queste persone per 6 giorni alla settimana in questi budelli: perché noi ci stiamo per 3 ore, con gli stivali nel fango e la gola in subbuglio per il continuo flusso di polveri che ti entrano dentro, gli occhi che cercano conforto nel raggio di luce della torcia e il caldo opprimente che ti accoglie mentre scendi nel ventre della terra; ma loro, queste centinaia di persone che in un recente sondaggio hanno detto di fare questo lavoro perché non hanno altra scelta, passano una vita qui dentro, a correre dopo aver piazzato la dinamite o a portarsi decine di chili di materiale in spalla dove il carrello non arriva. E tutto per un pò di argento, la famosa "plata" (che significa anche moneta, in spagnolo, e che non si deve confondere con la "palta", che è il nome locale per l'avocado).
Quando ne esco, respiro di nuovo. Io.
...
Ed ora, una nota allegra: c'è una canzone che va molto di moda da queste parti; si tratta di "Rosas", degli La Oreja de Van Gogh... scaricatevela da
http://www.sonymusiceurope.com/cgi-bin/multimedia/wmwax?wm.sony-local.global.speedera.net&wm.sony-local.global/l/la_oreja_de_van_gogh/rosas.wmv , e leggetevi il testo da http://www.letrascanciones.org/la-oreja-de-van-gogh/lo-que-te-conte-mientras-te-hacias-la-dormida/rosas.php
La citazione tolkieniana, sfuggitami volontariamente, è dovuta al fatto che il mondo visita Potosì per visitare le miniere dove migliaia di uomini, donne ed anche bambini si infilano in tunnel spesso non più alti di un metro per scavare e cercare di racimolare i resti dei minerali non già entrati nelle tasche degli spagnoli in circa mezzo millennio (da tanto il "cerro rico" di Potosì sta elargendo minerali preziosi e non, soprattutto argento).
Potosì, che di questa ricchezza ha goduto a lungo, è ora una città ricca di palazzi antichi, con portoni di pietra e legno lavorato, con chiese che fuori non sono male ma dentro sono ricche e tempestate di decorazioni pittoriche e laccate, con la gente che - a parte qualche povero, per strada - sembra stare abbastanza bene, se confrontata con quanto visto fino ad ora. Potosì la grande, con i suoi più di 140000 abitanti (ma ci sono stati tempi in cui ce n'erano di più, mentre Parigi e Londra si fermavano a 60000!) tutti arroccati intorno a questa montagna magica. Potosì la alta, se si considera che si trova a più di 4000 metri di altezza (e te ne accorgi, quando il respiro a volte si fa affannoso anche se credi di esserti acclimatato). Potosì la musicale, con bande che percorrono le strade ogni giorno per festeggiare i vari istituti scolastici (perché ora? Mah, nessuno mi ha saputo dare una valida ragione), e con la gente che al lunedì mattina alle 8 in punto si blocca sui due piedi per ascoltare l'inno nazionale suonato dall'esercito.
E, poi, dall'altra parte c'è Moria. Ti danno la giacca ed i pantaloni, gli stivali ed il caschetto, e con la tua torcia elettrica in testa ti senti pronto a tutto. Sosta al mercato, per acquistare qualche regalo per i minatori a cui vai a rompere le scatole (normalmente, foglie di coca da masticare per anestetizzarsi e dinamite - con miccia e tutto il resto - per aprirsi nuovi varchi), e poi raggiungi l'ingresso della miniera. E lì cominci ad inchinarti. Non tanto e non solo per passare attraverso gli stretti varchi (avrei dovuto chiedere uno sconto!), ma soprattutto alla forza di volontà che porta queste persone per 6 giorni alla settimana in questi budelli: perché noi ci stiamo per 3 ore, con gli stivali nel fango e la gola in subbuglio per il continuo flusso di polveri che ti entrano dentro, gli occhi che cercano conforto nel raggio di luce della torcia e il caldo opprimente che ti accoglie mentre scendi nel ventre della terra; ma loro, queste centinaia di persone che in un recente sondaggio hanno detto di fare questo lavoro perché non hanno altra scelta, passano una vita qui dentro, a correre dopo aver piazzato la dinamite o a portarsi decine di chili di materiale in spalla dove il carrello non arriva. E tutto per un pò di argento, la famosa "plata" (che significa anche moneta, in spagnolo, e che non si deve confondere con la "palta", che è il nome locale per l'avocado).
Quando ne esco, respiro di nuovo. Io.
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Ed ora, una nota allegra: c'è una canzone che va molto di moda da queste parti; si tratta di "Rosas", degli La Oreja de Van Gogh... scaricatevela da
http://www.sonymusiceurope.com/cgi-bin/multimedia/wmwax?wm.sony-local.global.speedera.net&wm.sony-local.global/l/la_oreja_de_van_gogh/rosas.wmv , e leggetevi il testo da http://www.letrascanciones.org/la-oreja-de-van-gogh/lo-que-te-conte-mientras-te-hacias-la-dormida/rosas.php
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inserito il 21/04/2005
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