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Cacciatori di chiese
Chiloe è la seconda isola, per larghezza, della repubblica cilena (la prima è la Tierra del Fuego, o almeno quanto di essa non è di proprietà dei cugini argentini, mentre la terza è l'isola Wellington); si trova poco lontano da Puerto Montt, separata dal continente da un canale che più di 6 traghettini attraversano in continuazione contendendosi i passeggeri.
Stefano, Gonzalo, Peter (un olandese aggiuntosi) ed io, sbarcati dalla nave che ci ha portato attraverso i canali patagonici, noleggiamo una macchina e cerchiamo di visitarla (l'isola, non la macchina) in poco più di 24 ore.
La navigazione nel canale è allietata da stormi di uccelli marini (compresi dei pellicani) che passano radenti la superficie del mare, e dai salti di alcune foche a caccia del pesce scompigliato dal passaggio dei traghetti. Arrivati dall'altra parte, sembra di essere in un altro luogo: l'abbondanza di legname e le alte maree (più di 7 metri di dislivello) hanno generato dei cambiamenti architettonici abbastanza notevoli... I villaggetti dell'isola sono ricchi di case costruite su palafitte (che spesso vengono spostate interamente da un luogo all'altro, durante la tradizionale "minga"), e i suoi dintorni sono pieni di chiesette spesso costruite interamente in legno (compresi i pioli usati al posto dei chiodi); pare, anzi, che la caccia fotografica a queste chiese sia uno dei passatempi preferiti dei visitatori, insieme alle abbuffate di frutti di mare debitamente cucinati (a causa dell'infezione batterica denominata "marea rossa", letale per l'uomo).
Ignorando la mala sorte del sasso alzato da un camion che ci scheggia il parabrezza (speriamo non ce lo mettano in carico), guidiamo fino ad Ancud e da lì (è troppo tardi per visitare la locale colonia di pinguini) fino a Castro, ascoltando i cd di tango acquistati a Buenos Aires da Stefano (vero appassionato: ha persino preso lezioni di danza, laggiù) e cercando di ricordarci che Peter non parla italiano (quando ce ne dimentichiamo, lui gentilmente fa finta di addormentarsi). A Castro ci dividiamo in due abitazioni, dato che i miei tre compagni di viaggio (che fighette...) necessitano di una singola cadauno (io, l'unico che se ne frega, ottengo allo stesso prezzo una tripla... Potrei saltare da un letto all'altro, volendo) e non ve ne è abbondanza; ma ci riuniamo per andare al ristorante, dove Peter (coraggioso) prova il "curanto", che è un'accozzaglia di cozze ed altri frutti di mare con carni e verdure cotti in modo speciale (non ce la fa a finirlo!).
Il giorno dopo, dopo camminate a caccia di soggetti fotografici in una cittadina che stenta a svegliarsi (ma i pescatori son già desti, ed anzi tornano col bottino notturno), partiamo verso nord, cercando di seguire la strada (sterrata) costiera. La pioggerella è continua, così come le soste per vedere se quella chiesetta è diversa da quella precedente (in quella di Castro, costruita da un architetto italiano, c'è pure una statua di Padre Pio!). Ridiamo, ce la contiamo, riusciamo pure a pranzare di corsa in un ristorantino al secondo piano vista mare, e poi raggiungiamo di nuovo Ancud, dove Gonzalo ed io ci fermiamo e salutiamo gli altri che tornano all'aeroporto a prendere l'aereo per Santiago.
Ancud è sonnolenta come Castro, cerco di scoprire come arrivare alla pinguinera ma rinuncio quando mi dicono che di pinguini c'è n'è rimasta solo qualche decina, faccio chilometri girando per le attrattive (un fortino, qualche cannone, un belvedere, la piazza) della città, e poi passo la serata chiacchierando con Gonzalo e vedendo le foto del suo giro del mondo (gli hanno pubblicato un libro! Miii, che rabbia che mi fa...) mentre mangiamo una minestrina di ceci.
Oggi, ho preso il bus per tornare a Puerto Montt, dove sarò ospite per un paio di giorni dell'esperantista Josè Antonio Vergara. Poi, quie sabe?
Stefano, Gonzalo, Peter (un olandese aggiuntosi) ed io, sbarcati dalla nave che ci ha portato attraverso i canali patagonici, noleggiamo una macchina e cerchiamo di visitarla (l'isola, non la macchina) in poco più di 24 ore.
La navigazione nel canale è allietata da stormi di uccelli marini (compresi dei pellicani) che passano radenti la superficie del mare, e dai salti di alcune foche a caccia del pesce scompigliato dal passaggio dei traghetti. Arrivati dall'altra parte, sembra di essere in un altro luogo: l'abbondanza di legname e le alte maree (più di 7 metri di dislivello) hanno generato dei cambiamenti architettonici abbastanza notevoli... I villaggetti dell'isola sono ricchi di case costruite su palafitte (che spesso vengono spostate interamente da un luogo all'altro, durante la tradizionale "minga"), e i suoi dintorni sono pieni di chiesette spesso costruite interamente in legno (compresi i pioli usati al posto dei chiodi); pare, anzi, che la caccia fotografica a queste chiese sia uno dei passatempi preferiti dei visitatori, insieme alle abbuffate di frutti di mare debitamente cucinati (a causa dell'infezione batterica denominata "marea rossa", letale per l'uomo).
Ignorando la mala sorte del sasso alzato da un camion che ci scheggia il parabrezza (speriamo non ce lo mettano in carico), guidiamo fino ad Ancud e da lì (è troppo tardi per visitare la locale colonia di pinguini) fino a Castro, ascoltando i cd di tango acquistati a Buenos Aires da Stefano (vero appassionato: ha persino preso lezioni di danza, laggiù) e cercando di ricordarci che Peter non parla italiano (quando ce ne dimentichiamo, lui gentilmente fa finta di addormentarsi). A Castro ci dividiamo in due abitazioni, dato che i miei tre compagni di viaggio (che fighette...) necessitano di una singola cadauno (io, l'unico che se ne frega, ottengo allo stesso prezzo una tripla... Potrei saltare da un letto all'altro, volendo) e non ve ne è abbondanza; ma ci riuniamo per andare al ristorante, dove Peter (coraggioso) prova il "curanto", che è un'accozzaglia di cozze ed altri frutti di mare con carni e verdure cotti in modo speciale (non ce la fa a finirlo!).
Il giorno dopo, dopo camminate a caccia di soggetti fotografici in una cittadina che stenta a svegliarsi (ma i pescatori son già desti, ed anzi tornano col bottino notturno), partiamo verso nord, cercando di seguire la strada (sterrata) costiera. La pioggerella è continua, così come le soste per vedere se quella chiesetta è diversa da quella precedente (in quella di Castro, costruita da un architetto italiano, c'è pure una statua di Padre Pio!). Ridiamo, ce la contiamo, riusciamo pure a pranzare di corsa in un ristorantino al secondo piano vista mare, e poi raggiungiamo di nuovo Ancud, dove Gonzalo ed io ci fermiamo e salutiamo gli altri che tornano all'aeroporto a prendere l'aereo per Santiago.
Ancud è sonnolenta come Castro, cerco di scoprire come arrivare alla pinguinera ma rinuncio quando mi dicono che di pinguini c'è n'è rimasta solo qualche decina, faccio chilometri girando per le attrattive (un fortino, qualche cannone, un belvedere, la piazza) della città, e poi passo la serata chiacchierando con Gonzalo e vedendo le foto del suo giro del mondo (gli hanno pubblicato un libro! Miii, che rabbia che mi fa...) mentre mangiamo una minestrina di ceci.
Oggi, ho preso il bus per tornare a Puerto Montt, dove sarò ospite per un paio di giorni dell'esperantista Josè Antonio Vergara. Poi, quie sabe?
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inserito il 09/03/2005
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